Il propiziatorio
«Mosè prese la Testimonianza, la pose dentro l’arca, mise le stanghe all’arca e pose il propiziatorio sull’arca» (Es 40,20). Il cammino di liberazione del popolo d’Israele dall’Egitto va avanti. Il secondo anno, secondo gli ordini ricevuti dal Signore, dopo aver costruito l’arca dell’alleanza, una cassa, prezioso manufatto proprio come Jahwé aveva prestabilito, Mosè eresse la Dimora nella quale collocò l’arca. Per essa aveva adoperato legno di acacia e l’aveva ricoperta d’oro dentro e fuori. Misurava circa 1,30 metri per 0,70 e 0,70 e conteneva le due tavole di pietra. Ai lati erano state fissate con quattro anelli d’oro, due stanghe di legno dorato, con le quali l’arca veniva sollevata e trasportata. Sul coperchio c’era un piatto dorato detto «propiziatorio» ed era il luogo sul quale si posava la nube che indicava la presenza di Dio, dove Egli riceveva l’espiazione e distribuiva la misericordia all’uomo quando il sangue dell’espiazione veniva spruzzato su di esso. Era questa l’idea di rimozione del peccato. Vi erano anche due cherubini l’uno di fronte all’altro, le cui ali sovrastavano il propiziatorio. Nella Lettera ai Romani S. Paolo definirà Cristo «propiziazione», colui che compie l’espiazione col suo sangue per il perdono dei peccati (Rm 3,24-25). L’arca era custodita nella dimora o «tabernacolo», la tenda dell’incontro, una costruzione mobile che accompagnava gli Israeliti durante il cammino nel deserto fino alla conquista della Terra Promessa. Era il segno della signoria di Dio ed il simbolo dell’alleanza. Nella tradizione e nella prassi cristiana, sarà chiamato “tabernacolo” l’edicola nella quale si conserva il corpo di Cristo, il Santissimo Sacramento dell’altare. P. Angelo Sardone