La morte di Giacobbe
«Io sto per essere riunito ai miei antenati: seppellitemi presso i miei padri nella caverna nel campo di Macpela di fronte a Mamre, nella terra di Canaan» (Gn 49,29-30). Dopo aver benedetto tutti i suoi figli, ciascuno con una particolare benedizione, consapevole di essere alla fine della sua vita, Giacobbe comunicò la sua ultima volontà: essere seppellito non in Egitto ma nella terra di Canaan, nella caverna che Abramo aveva acquistato dagli Ittiti con il campo di Efron, come proprietà sepolcrale. Là, infatti, erano stati seppelliti Abramo e Sara, Isacco e Rebecca e la sua prima moglie Lia. La terra promessa diventava ancora una volta così il luogo della dimora dei patriarchi in vita ed in morte. Secondo il costume tipico egiziano, Giuseppe, fece imbalsamare il corpo di suo padre e ciò avvenne nell’arco di 40 giorni. Si passò quindi ai giorni di lutto, settanta, così come era riservato in Egitto ai faraoni e alle alte cariche dello stato. Al termine Giuseppe chiese al faraone di poter trasferire la salma di suo padre nella terra di Canaan, dal momento che lì era già pronta e disponibile la tomba. Un interessante commento del grande biblista, il cardinale Ravasi, descrive l’ultimo imponente tragitto, con la presenza dei familiari, un cospicuo servizio d’ordine, fino alle soglie della terra promessa, dove seguono sette giorni di lutto e l’inumazione della salma nella grotta di Macpela, il sepolcro dei patriarchi. Ciò in un certo senso preannunzia il ritorno del popolo di Israele dopo la parentesi egiziana di 430 anni. Anche Giuseppe muore, all’età di 110 anni, viene imbalsamato ed inumato in un sarcofago in Egitto. Così si chiude la Genesi, il primo libro della Scrittura. P. Angelo Sardone