La glossolalia

La Pentecoste è il compimento pieno della Pasqua, il cinquantesimo giorno dalla risurrezione di Cristo, il grande evento che segna la storia e la vita della Chiesa. Negli ultimi suoi discorsi Gesù l’aveva più volte annunziato: lo Spirito Santo, la terza persona della SS.ma Trinità, sarebbe sceso come Consolatore, rivelatore della verità, guida della santità della Chiesa. Un ulteriore evento segna l’inizio della storia della Chiesa che, nata dal cuore di Cristo morente sulla croce, chiusa per paura nel Cenacolo di Gerusalemme, irrorata dalla grazia dell’effusione dello Spirito, esce allo scoperto. Tutto cambia: la paura si tramuta in coraggio, la lingua impacciata si scioglie e proclama le grandezze di Dio. Lo Spirito, uno col Padre ed il Figlio, si mostra materialmente con lingue di fuoco che si posano sulle teste degli Apostoli uniti con Maria nel cenacolo, ed opera la comprensione dell’annunzio che gli Apostoli fanno nella loro lingua, rendendolo comprensibile a tutte le lingue parlate da coloro che allora si trovavano a Gerusalemme e che provenivano da parti diverse del mondo giudaico. È il fenomeno della «glossolalia»: un’unica lingua viene compresa da tutti. Inizia il tempo della Chiesa la cui missione è il sacramento di Cristo e dello Spirito Santo: con tutta se stessa e in tutte le sue membra è inviata ad annunziare e testimoniare, attualizzare e diffondere il mistero della comunione della Santa Trinità. Per tanto tempo lo Spirito Santo è stato il «grande sconosciuto» come evidenziato da San Josemaría Escrivà (1902-1975), fondatore dell’Opus Dei ed il cardinale belga Léon-Joseph Suenens (1904–1996) uno dei protagonisti del Concilio Vaticano II. Grazie alla nuova coscienza pneumatologica promossa dal Concilio Vaticano II e dai Movimenti ecclesiali che ne fanno specifico riferimento, il santo e divino Spirito è più conosciuto ed invocato. P. Angelo Sardone

La giustificazione di S. Paolo

«Vi ho chiamati per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena» (At 28,20). Siamo alle ultime battute del meraviglioso libro degli Atti degli Apostoli. Paolo è a Roma: vi è giunto affrontando anche tempesta e naufragio e passando per l’isola di Malta. Pur non avendo trovato in lui alcunché degno di morte, i Romani lo avevano trattenuto a Gerusalemme, in carcere, costringendolo ad appellarsi a Cesare. Essendo cittadino romano aveva questo diritto e perciò fu condotto a Roma dove gli fu concesso di vivere in una casa presa in affitto avendo un soldato a guardia. In queste condizioni rimase per due anni. Roma contava allora un milione e mezzo di abitanti e gli ebrei erano circa quarantamila. La sua preoccupazione era quella di incontrare i notabili dei Giudei che abitavano nella capitale dell’impero romano per chiarire la sua condizione di prigioniero e la sua posizione soprattutto nei confronti dei correligionari ebrei che erano bene informati di ciò che era successo in Palestina. Non aveva fatto nulla né contro il popolo né contro le usanze della Legge. Il suo compito rimaneva comunque ancora quello di accogliere coloro che andavano a trovarlo e di parlare loro con franchezza e senza impedimento di Gesù. Questo atteggiamento leale e difensivo costituisce l’ultimo tratto documentato della vita dell’Apostolo delle genti che intravvede la sua liberazione e che in seguito proprio a Roma testimonierà col sangue del martirio la sua fede in Cristo. La coerenza fino in fondo e la fedeltà alla missione ricevuta di annunziare il Regno ai pagani costituisce l’ultimo tassello che l’evangelista Luca pone alla sua grandiosa opera ecclesiale, che ha accompagnato il cammino pasquale. P. Angelo Sardone

Il santo della gioia e del Paradiso

«Quelli che lo incolpavano gli si misero attorno, ma non portarono alcuna accusa» (At 25,18). L’opera evangelizzatrice di Paolo viene infastidita e bloccata dalle continue accuse che gli fanno circa la novità della sua dottrina. Il Signore glielo aveva ampiamente predetto. Feroci giudizi, carceri, fustigazioni sono solo alcuni elementi da corredo nella sua passione vivente. Gli oppositori non sono i pagani ma i suoi stessi correligionari. Gli insulti poi non si contano: viene chiamato addirittura «peste di uomo» per le cose sensazionali che va predicando ed è talmente pericoloso che per assicurargli la vita, il tribuno lo fa scortare da 200 uomini finché non giunge a Cesarea nelle mani del nuovo procuratore, Festo. Anche qui è soggetto ad un processo ma, coloro che lo incolpavano, messisi attorno, non portavano ragioni probanti ed accuse consistenti. Era la strada che il Signore gli aveva prefigurato per il raggiungimento degli obiettivi evangelici. Nella vita di S. Filippo Neri (1515-1595) di cui oggi si celebra la memoria, fiorentino di nascita e romano di adozione, soprattutto nell’ultima fase della sua esistenza, dopo tutto un lungo e profondo lavoro di evangelizzazione che aveva compiuto a Roma a favore di giovani, adulti, malati e pellegrini, fioccarono contestazioni circa i suoi discorsi ed i metodi missionari innovativi. Colpisce la sua identità di mistico e contemplativo, gioioso formatore di tanti ragazzi e giovani con una metodologia che si scostava da quella classica e col brio, col canto ed il buonumore, conduceva tutti a Cristo. È significativa la fiction televisiva «Preferisco il Paradiso» che tratteggia in forma originale l’identità e la missione di questo grande apostolo di Cristo. P. Angelo Sardone

Paolo, fariseo doc

«Io sono fariseo, figlio di farisei; sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti» (At 23,6). Paolo è tornato a Gerusalemme e si mostra comprensivo nei confronti dei cristiani provenienti dal giudaismo. Quelli però provenienti dall’Asia mettono in subbuglio la folla accusandolo di predicare contro la Legge ed il Tempio, avendo ivi introdotto dei Greci. Paolo viene preso, malmenato, finché un tribuno non lo arresta e lo mette in carcere. Ottenuto però il permesso di parlare al popolo, l’Apostolo racconta ancora una volta la sua conversione. Condotto in carcere mentre sta per essere flagellato rivendica la sua identità di cittadino romano. Perplesso il tribuno lo fa accompagnare nel Sinedrio, composto da farisei e sadducei. Qui Paolo gioca d’astuzia, meritandosi l’attenzione dei primi, in quanto, afferma, di essere fariseo e figlio di farisei ed inoltre perseguitato a causa della speranza della risurrezione. Questo termine provoca un tafferuglio tra loro dal momento che i sadducei non credono nella risurrezione. La sua capacità oratoria e l’accorto buonsenso gli permettono anche questa volta di tirarsi fuori, mentre il tribuno, vista la mala parata, lo riconduce in prigione dove la notte il Signore apparendogli gli comunica che la medesima testimonianza sarà chiamato a darla a Roma. Questo tratto storico documentato nei particolari, è davvero avvincente e manifesta come il prosieguo della missione apostolica è regolato da Dio. Quanto è importante soprattutto per noi sacerdoti, avere questa coscienza, quando tribolati e perseguitati, pur mettendo a frutto il necessario buon senso, siamo guidati dall’unica forza misteriosa che è Cristo. P. Angelo Sardone

I lupi, rapaci distruttori

«Vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato, tra le lacrime, di ammonire ciascuno di voi» (At 20,31). L’accorato saluto che Paolo fece ai cristiani di Efeso, consapevole per rivelazione di Dio che non li avrebbe più rivisto, si conclude con una forte e vincolante esortazione: vigilare e non permettere che lupi rapaci sotto mentite spoglie di predicatori spregiudicati ed avventizi, falsi profeti, disorientino la vita e le loro coscienze. Il tratto tenero, affettuoso e mesto delle parole dell’Apostolo, non può sottrarsi ad una presa di posizione ferma e decisa dinanzi al fenomeno, tipico anche oggi in alcune comunità cristiane, nelle quali gli ultimi arrivati agiscono come se prima di loro c’era il nulla, spazzando via ogni cosa, anche quelle che sono state costruite, proprio come per l’Apostolo, tra lagrime ed ammonizioni sensate per il bene esclusivo dei credenti. Un attaccamento serio e vincolante agli insegnamenti autentici ricevuti, e non tanto al predicatore che certo ha la sua parte, quando si è verificato in forma piena e matura da parte dei fedeli, fa camminare da soli, e fa distinguere le parole affettate, le moine di turno, talora solipsistiche e compensatorie, da quelle che presentano profondità di pensiero e testimonianza credibile di azioni. La rivendicazione di Paolo è molto significativa: per circa tre anni aveva annunziato il Vangelo con le ammonizioni derivanti, come un pastore fa verso le sue pecore. I lupi, i mercenari ed i briganti non hanno alcun diritto di distogliere un cammino quando questo è fatto seriamente, a meno che il pastore sia stato leggero o egocentrico. Ma questo si vede subito quando le pecore spariscono e non si sa più dove siano. P. Angelo Sardone