Una inutile requisitoria
«Avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest’uomo» (At 5,28). Un’accesa requisitoria caratterizza il nucleo del processo sommario istruito e condotto dal sinedrio di Gerusalemme con a capo il sommo sacerdote nelle vesti di accusatore e giudice e dell’intero senato: un dispiegamento eccessivo di forze dei giudei. La proibizione di insegnare nel nome di Gesù era stata vistosamente disattesa e, a ben motivo. Tutto l’apparato giuridico in effetti teme moltissimo lo spandersi a vista d’occhio di questa nuova dottrina che sembra inarrestabile nonostante il reo sia stato giustiziato con la crocifissione. E poi interviene anche il Cielo: la prigione si apre miracolosamente e gli apostoli tornano liberi a predicare nel tempio. La gente li segue, ascolta volentieri e diviene motivo di paura per il comandante e le guardie del tempio. Il sommo sacerdote riprende l’evidente trasgressione del suo comando e la denunzia aperta di incolpevolezza del sangue versato da Cristo. Niente di più falso! La colpa e la responsabilità è tutta del sinedrio, dell’invidia e gelosia dei capi. Gli apostoli si stanno comportando nell’obbedienza fedele a Dio che ha ingiunto loro di dare ampia comunicazione dell’evento che segna il nuovo corso della storia e del tempo. Il risultato è perfettamente contrario: gli accusatori e giudici si infuriano di più manifestando loro aperti propositi di morte. L’obbedienza a Dio più che agli uomini, in particolari circostanze della vita e sotto la pressione e l’imposizione di cose contrarie alla logica umana e naturale, richiede un comportamento di rottura ed opposizione ferma. P. Angelo Sardone