Una coraggiosa apologia
«Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni» (At 3,15). Approfittando della ressa che si era creata al tempio di Gerusalemme dopo la guarigione dello zoppo, con la sua autorità consolidata dal mandato a lui dato e ribadito da Gesù nell’incontro riparatore quasi a cancellare la triplice negazione, Pietro si mette a predicare. È la seconda volta che lo fa, ormai senza paura e con il coraggio che viene direttamente da Cristo. L’annuncio è propriamente pasquale e condensa i temi della condanna a morte di Gesù rinnegato e consegnato a Pilato, della sua vile morte quasi fosse un malfattore, e risuscitato da morti da Dio. Nel suo nome e con la sua potenza mediata dalla fede, lo zoppo è stato guarito. Sia il popolo che i capi hanno agito per ignoranza. Ora non resta altro che convertirsi e confessare le proprie colpe perché si manifesti il regno messianico. Lo stesso rilievo l’aveva fatto Gesù dall’alto della croce quando aveva perdonato i suoi crocifissori giustificando il gesto perché non sapevano che cosa avevano fatto. La dinamica della nuova vita si esprime proprio con la confessione delle colpe e il pentimento sincero. Il tema non è nuovo, ma ribadisce quello annunziato da Gesù sin dall’inizio della sua predicazione. Una Pasqua vera si realizza nella presa di coscienza di una nuova identità cristiana che risale al battesimo e di concretizza in una nuova nascita, «sapendo il perché della vita e guarendo da una lunga e triste malattia, uscendo dall’ombra per volare incontro al sole» (M. Giombini). La simbologia e la poesia non devono rimanere tali, ma concretizzarsi nella vita di ogni giorno. P. Angelo Sardone.