Il protomartire Stefano: fermezza e costanza
«Gridando a gran voce si scagliarono tutti insieme contro Stefano, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo» (At 7,57-58). Subito dopo la solennità del Natale di Gesù, la Liturgia celebra il ricordo dei cosiddetti «comites Christi», i compagni di Cristo, i vicini a Lui e primi suoi testimoni anche con il martirio. Oggi ricorre il «dies natalis», come si definisce nel gergo liturgico la morte, di S. Stefano, il primo dei martiri dell’era cristiana, testimone della fede. Egli si pone come pietra miliare nel tempo nuovo inaugurato da Cristo con la sua nascita in terra ed ancor più col mistero della sua morte e risurrezione. Anche se sono scarse le notizie biografiche, si sa di certo che apparteneva al gruppo dei Diaconi istituiti dagli Apostoli a Gerusalemme e probabilmente, era di origine greca, dato il suo nome che significa «corona, coronato». Godeva di buona reputazione ed era pieno di Spirito Santo e saggezza, grazia e fortezza (At 6,3.8).
Gli Atti degli Apostoli lo descrivono come intraprendente missionario della risurrezione di Cristo e per questo tradotto dinanzi al Sinedrio perché si scolpasse delle accuse di anziani e scribi. Imperterrito e per nulla pauroso, partendo da Abramo e finendo ai suoi giorni, offrì una magnifica lezione di teologia storica dimostrando che tutto il passato del popolo d’Israele conduceva a Cristo, il Giusto. La reazione dei capi e degli astanti fu di scandalo e di ferocia inaudita: fu trascinato fuori della città e lapidato. I cristiani di oggi sono chiamati come lui a formarsi adeguatamente alla scuola degli apostoli per apprendere la sana dottrina e testimoniarla se occorre, anche col martirio. Auguri a tutte le persone uomini e donne che portano il suo nome. P. Angelo Sardone