Santa Cecilia patrona della musica e del canto sacro
«Getta la tua falce e mieti, perché la messe della terra è matura» (Apc 14,15).
In una ennesima visione, su una nube compare Gesù Cristo giudice al quale viene ingiunto di mietere la messe ormai matura della terra. La mietitura, come la pigiatura è sinonimo del giudizio finale di Dio contro gli empi. Vittima della mietitura in odio al Vangelo fu S. Cecilia (II-III sec.), di cui oggi si celebra la memoria liturgica. Insignita della duplice corona della verginità e del martirio, il suo nome fu inserito nel Canone romano appena avviato il suo culto. Era romana, andata sposa a Valeriano e, secondo il racconto della sua Passione, un testo più letterario che storico, il giorno delle nozze cantava nel suo cuore al Signore di conservarle immacolati il cuore e il corpo. Subì il martirio col vi fuoco che però rimase intrepido senza molestarla e fu poi decapitata. Le sue spoglie, forse sepolte nelle Catacombe di S. Callisto, in ottimo stato di conservazione furono trasferite nella Basilica di Santa Cecilia in Trastevere. Il suo culto è antichissimo e si sviluppò in breve tempo. Nel tardo Medioevo un singolare documento attribuisce a S. Cecilia il canto fatto mentre subiva le torture del martirio. Stimolato da questa indicazione nel secolo XIX sorse il Movimento Ceciliano con l’intento di purificare la musica sacra dalle degenerazioni teatrali e ridare la centralità e lo splendore al gregoriano, al canto polifonico e al suono dell’organo. P. Angelo Sardone