I due olivi, misteriosi messaggeri dell’eternità
«Un grido possente dal cielo diceva loro: «Salite quassù» e salirono al cielo in una nube, mentre i loro nemici li guardavano» (Apc 11,12). Prima della inaugurazione del Regno di Dio, in una nuova visione escatologica, l’evangelista Giovanni riporta un quadro ristretto alla comprensione del mondo giudaico, facendo riferimento con una allegoria, a due personaggi che egli chiama “testimoni, ulivi e candelabri. Essi stanno davanti al trono”, vestiti col sacco che indica penitenza e lutto. In un’analoga immagine adoperata dal profeta Zaccaria, erano Zorobabele e Giosuè gli esponenti del potere politico e religioso. Qui si tratta molto probabilmente di Mosé ed Elia i quali dopo aver compiuto la loro missione nella Città santa sono messi a morte dalla bestia (rappresentazione del demonio con la sua effimera vittoria) e poi risuscitati dal soffio di Dio. Tutto avverrà nella città di Gerusalemme che lo stesso Cristo aveva profetizzato dover essere calpestata dai pagani. Il tempo profetico è di 42 mesi, tre anni e mezzo, quanto durò la persecuzione di Antioco IV Epifane, secondo il racconto di Daniele ed i Libri dei Maccabei. I due testimoni saranno vinti dalla bestia ed uccisi. Il loro corpo rimarrà esposto senza essere sepolto per tre giorni e mezzo nel luogo dove era stato crocifisso Gesù Cristo. Poi la risoluzione finale: saranno assunti in cielo in una nuvola mentre i nemici resteranno a guardarli. Chi si pone al servizio del Signore, soprattutto in ambito di cammino penitenziale, va incontro alla morte, ma come Gesù Cristo, morte ed esposizione del corpo si contraggono nell’arco di tre giorni, perché subito dopo c’è la salita al cielo. P. Angelo Sardone