Il Nome santissimo di Maria

«Beato e mille volte beato chi ha la fortuna di portare l’augusto Nome di Maria, Ella gli darà grazie speciali» (S. Annibale M. Di Francia). La liturgia celebra oggi la memoria facoltativa del Nome SS.mo di Maria, la cui devozione sorse in epoca medievale, insieme a quella per il Nome di Gesù. Molteplici sono i significati di questo nome diffuso in maniera incredibile in tutto il mondo, provenienti da interpretazioni diverse a partire dall’egizio Myriam (tale era il nome della sorella di Mosè, nata in Egitto) col significato di «amata da Dio». Alla figlia nata come dono di Dio, i santi vegliardi Gioacchino ed Anna imposero il nome di Maria, benedetta dai sacerdoti del Tempio di Gerusalemme con «un nome rinomato in eterno in tutte le generazioni». La madre di Gesù incarnerà nella sua vita l’alto significato del suo nome e manifesterà nelle molteplici circostanze evangeliche la grandezza dell’amore di Dio riversato nel suo cuore e nella sua identità di Madre di Dio. Tutti i Santi hanno nutrito una particolare venerazione per questo nome. S. Annibale Maria lo proclamava come termine singolare della sua predicazione. Diceva così: «Esorto tutti i padri e le madri di famiglia ad imporre ai loro figliuoli questo Nome; io ho la fortuna di averlo come primo nome. La mia genitrice era devotissima di questo Nome e per questo lo imponeva a tutti i suoi figli». Sia il nome di Maria sempre sulle labbra di ciascuno, onorato col saluto «Sia lodato Gesù e Maria!». Auguri a tutte coloro che lo portano con venerazione e devozione. P. Angelo Sardone

Il vitello d’oro

«Scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato!» (Es 32,7). Il cammino dell’esodo per il popolo d’Israele fu travagliato a causa di difficoltà diverse, compresa la durata, la stanchezza, la mancanza di fede, la nostalgia dell’Egitto. Il testo sacro accompagna l’itinerario passo passo e senza mezzi termini definisce “perversione” il comportamento del popolo col suo allontanamento da Dio ed il ripiego idolatrico. Mentre Mosè era impegnato sul monte nel colloquio con Jahwè e nella ricezione della Legge, il popolo vedendo che tardava a scendere e non sapendo che cosa gli fosse accaduto, chiese ad Aronne di realizzare il segno di un dio che marciasse alla testa della carovana. Pressato, il povero fratello di Mosè si fece consegnare gli orecchini che le donne indossavano e con tutto quell’oro realizzò un vitello, costruì un altare e dichiarò che era quello il Dio della liberazione dalla prigionia di Egitto. Seguì l’offerta degli olocausti, il pasto ed i divertimenti con atteggiamenti di idolatria ed anche atti frenati ed immorali. Mosè non poteva sapere, ma Dio sì. Ecco perché ingiunge al profeta di scendere subito a valle perché il popolo si è stancato, si è allontanato dalla via tracciata, e lo ha ricusato come il suo dio. La storia si ripete puntualmente: la stanchezza, la precarietà e le difficoltà della vita, la nostalgia insulsa di un passato anche di colpa e di fatuo godimento, prende il sopravvento sulla novità che invece Dio prospetta, con la mediazione del profeta di turno. Tanta gente vive, opera e cammina non con gli occhi di fronte, ma all’indietro, pensando con nostalgia a quanto, persone e cose, sono passate, senza il coraggio e l’ardire di guardare avanti col passo e la storia segnati da Dio. P. Angelo Sardone

Sintesi liturgica XXIV domenica del Tempo ordinario

La durezza di cuore e di cervice ha allontanato il popolo di Israele dall’amore di Jahwé e dalla via da Lui indicata. Il vitello d’oro e l’adorazione a lui tributata con l’offerta dei sacrifici, sancisce in pieno la sua perversione. La supplica accorata di Mosè evita l’ardente ira di Dio e la soppressione dei fedifraghi. Le tre parabole della misericordia, straordinaria trasposizione teologica della tenerezza di Dio, proprie dell’evangelista Luca, con la pecora e la dramma ritrovate e, soprattutto, con il ritrovamento del figlio prodigo, attualizzano visibilmente l’amore di Dio come “hesed”, cioè perdono, amore di predilezione. Con la sua magnanimità, Dio dà fiducia anche ai bestemmiatori, ai persecutori ed ai violenti, perché agiscono per ignoranza, lontani dalla fede, facendo sovrabbondare in essi la grazia unitamente alla carità. Tutto ciò che è perduto, con la grazia di Dio può essere ritrovato; tutto ciò che è morto può tornare in vita. P. Angelo Sardone

La perniciosa ed illusoria idolatria

«State lontani dall’idolatria. Parlo come a persone intelligenti» (1Cor 10,14). Il pericolo costante dei primi cristiani, a qualsiasi livello e condizione sociale, era quello di tornare indietro con i pensieri e le abitudini, a fronte di una situazione nuova determinata dall’accoglienza del Vangelo di Cristo, in netta contraddizione con gli usi e i costumi pagani. Ciò si determinava ancor più quando la conversione non era autentica ed il richiamo del passato diveniva più imperante. L’uso delle carni immolate agli idoli ed il ritorno all’idolatria erano state già considerate nel Concilio di Gerusalemme e tenute fuori con una risoluzione comunitaria frutto della riflessione comune e dell’apporto dello Spirito Santo. Prima di dettare sanzioni e ribadire concetti particolareggiati, S. Paolo propone una considerazione derivante dal cuore stesso del mistero cristiano: con l’Eucaristia si entra in contatto diretto di reale e profonda comunione con Cristo. Proprio in ragione di ciò bisogna evitare l’analoga comunione con gli idoli i quali, ponendosi in alternativa a Cristo, assumono la qualifica di demoni. La comprensione di queste realtà è frutto dell’accoglienza non solo generosa ma anche intelligente da parte dei cristiani di ogni tempo, dal momento che l’idolatria è sempre in agguato alla mente ed al cuore debole dell’uomo e talora é segno di ripiegamento o di ricerca compensatoria di bisogni. Il denaro, la carriera, la famiglia, l’appagamento dei sogni, gli affetti, se non sono gestiti in maniera equilibrata, distolgono la mente e gli interessi spirituali da un orientamento sensato ed efficace, producendo a volte solo confusione ed illusioni. P. Angelo Sardone

Il Vangelo sopra ogni cosa

«Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io» (1Cor 9,23). L’evangelizzatore provetto non parla solo con la bocca o con lo scritto, parla soprattutto con la testimonianza della propria vita. L’esempio di S. Paolo nelle diverse comunità da lui fondate è significativo e trainante. Interamente votato al Vangelo, l’Apostolo, prese alla lettera l’ingiunzione di Cristo: «Andate in tutto il mondo e predicate!». Particolarmente a Corinto egli ha profuso a piene mani la sapienza evangelica, facendo ruotare tutto attorno alla necessità di predicare senza alcun vanto o ricompensa che non fosse solo il Vangelo. Alla maniera stessa di Gesù, la predicazione più efficace non consiste nella formulazione di concetti filosofici o sociologici, ma nella trasmissione di verità che sono via al cielo. Ciò comporta non solo l’adattamento alle situazioni, agli ambienti ed alle persone, ma soprattutto il coinvolgimento personale, facendo diventare la singola persona partecipe e parte integrante del messaggio annunziato. Questo determina una libertà da tutto e da tutti, per farsi servo di tutti onde amministrare e trasmettere un dono superiore alla portata singola di comprensione e, come in una corsa, dosare la forza dei muscoli ed orientare la volontà e l’impegno alla conquista del traguardo e della vittoria. I cristiani, proprio in forza dell’adesione a Cristo, il salvatore e messaggero del Padre, devono sempre più diventare araldi del Vangelo attraverso lo studio serio e profondo, lasciandosi coinvolgere dalla forza stessa del Vangelo che non è mai anacronistico ed impossibile. P. Angelo Sardone

Maria Bambina

«Era necessario che si costruisse la casa, prima che il Re scendesse ad abitarla» (S. Pier Damiani). Oggi la Chiesa celebra la festa della Natività di Maria. Già introdotta nel secolo VII da papa Sergio I, essa è legata alla natività di Gesù e costituisce come una sua preparazione. Nei testi biblici non c’è traccia alcuna di questo avvenimento. Ne parla solo uno scritto del II secolo, il cosiddetto Protovangelo di Giacomo, un apocrifo che non rientra tra i libri ispirati. Esso afferma che Maria nacque a Gerusalemme da Gioacchino ed Anna. In lei si concentra l’attenzione di Dio con il suo disegno di amore verso l’umanità, e si traduce in grembo e culla e casa per la nascita del Verbo incarnato. I Padri della Chiesa hanno scritto e parlato di questo avvenimento. Nella Tradizione popolare è diventata la Festa della Madonna Bambina ed è operante nella Chiesa una Congregazione di Suore dette di Maria Bambina. S. Annibale Maria Di Francia andava pazzo per Maria Bambina che amabilmente chiamava la “Bambinella”: era la poesia del suo cuore. Una delle foto classiche lo ritrae con Lei tra le braccia. In tutte le Case Rogazioniste per suo volere viene custodita, venerata ed esposta una statuetta di Maria Bambina nella culla e la festa è preparata con particolare devozione con la recita dello Stellario e la veglia. La Madonna volle premiare questa fede semplice e questo suo trasporto devoto apparendogli il 31 maggio 1927 nella stanzetta della Guardia, la località messinese nella quale il dì successivo il santo canonico morì. Tutt’oggi essa è meta di pellegrini e devoti che venerano la Madonna e contemplano sulle mura la bella immagine che ritrae la sua apparizione. P. Angelo Sardone

Matrimonio e verginità

«Se ti sposi non fai peccato; se la giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella loro vita» (1Cor 7,28). In risposta ai quesiti posti dai Corinti, S. Paolo affronta il problema del matrimonio e della verginità. In questa maniera detta alcune norme che compongono l’intero capitolo 7 della prima Lettera ai Corinti. Si tratta di due ideali sanciti dalla Rivelazione divina: il matrimonio monogamico e la verginità e consacrazione a Dio che fa protendere verso i beni del Signore. Il matrimonio viene permeato di spirito cristiano. Lo stato di verginità sembra essere prediletto dall’Apostolo che offre un consiglio come di persona che ha autorità: se sei legato ad una donna, non scioglierti; se non sei legato ad alcuna, non andare a cercarla. La necessità presente di cui si parla è il limite che la condizione matrimoniale pone alla dedizione senza limiti al Signore. Tuttavia non si fa peccato a sposarsi, tutt’altro. Le tribolazioni sono costituite dalle tensioni che spesso sono grandi e dolorose anche nel matrimonio, quando si è immersi nelle contingenze giornaliere della vita e talora si deve lottare per affermare le istanze proprie del Vangelo. Non vi è obbligo di scegliere il celibato: si tratta di un consiglio. Il carisma della verginità è diverso dal carisma del matrimonio. Entrambi sono doni di Dio e si esprimono come vera e propria vocazione. Entrambi hanno la loro importanza ed il loro peso; per entrambi si richiede una particolare assistenza dello Spirito. Il matrimonio adempie il volere divino della generazione della vita e della comunione di mente, cuore e corpo tra un uomo ed una donna. La scelta del celibato per il Regno dei cieli è già la manifestazione del “non ancora”.  P. Angelo Sardone

I vizi che pregiudicano l’ingresso nel Regno

«Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomìti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio» (1Cor 6,10). Affrontando questioni pratiche di gestione della vita e dei rapporti comunitari, S. Paolo fa riferimento con stupore ad alcuni comportamenti dei cristiani che risultano assurdi: si rivolgono a tribunali pagani quando invece dovrebbero risolvere le loro questioni dinanzi ai propri tribunali riconosciuti dall’autorità romana. E’ necessario che ci sia qualcuno che faccia da intermediario e conciliatore. La conclusione poi è una affermazione netta e dura che toglie qualsiasi possibilità di facile illusione: le orecchie, anche quelle dei cristiani di oggi, potrebbero rifiutarla. Ci si trova dinanzi ai primi tentativi di elaborazione di una morale cristiana. Essa comprende 10 categorie di peccati che escludono dal Regno di Dio, perché sono incompatibili con l’essere cristiano e portano alla rovina eterna. Tali vizi (immoralità, idolatria, adulterio, depravazione, sodomia, furto, avarizia, ebrezza, calunnia, rapina) provengono dai cataloghi appartenenti già all’ambiente greco e romano e sono espressione dei criteri fondamentali della morale universale. Qualunque aggiunta è superflua. Il concetto è chiaro ed inconfutabile. Non si tratta di assurdità o di concezioni di tardo medioevo, ma di elementi antichi quanto l’uomo, che compromettono anche in contesti sociali comuni e pregni di diritti civili, l’identità dell’uomo e la sacralità della sua natura, violata da simili aberranti peccati. Non ritenere esagerato tutto questo e non respingere. Rifletti invece con profondità su queste scomode verità. P. Angelo Sardone