Sono loro che devono tornare a te, non tu a loro
«Ti libererò dalla mano dei malvagi e ti salverò dal pugno dei violenti» (Ger 15,21). La vita di Geremia e la sua attività profetica che si svolse nell’arco di circa 40 anni in uno dei periodi più travagliati della storia d’Israele, fu sempre complicata a causa della predicazione che risultava invisa a chi lo ascoltava. Il re in prima persona si sentiva attaccato, per questo gli rese difficile la vita proibendogli di recarsi al Tempio e persino la distruzione del rotolo che conteneva i suoi oracoli. Il suo ruolo non era solo di portaparole di Dio, ma in un certo senso aveva anche coscienza critica in una visuale storica e politica non dovuta al suo volere e modo di vedere, ma influenzato dallo Spirito di Dio. Le sventure da lui annunciate divennero realtà: Dio si servì dei Babilonesi per esprimere il suo giudizio su Gerusalemme con la distruzione e l’esilio. Il profeta intravvide un motivo di speranza: il ritorno dall’esilio sarà possibile per l’intervento di Dio, l’unico che può trasformare il cuore dell’uomo. Chiunque si affida a Dio e si rende nelle sue mani strumento della Parola da comunicare così come gli è stata affidata, anche piena di sdegno, va incontro naturalmente a tante difficoltà derivanti da ostilità, diversità di vedute, false certezze soprattutto di chi pensa di sapere. La sua vita e la sua azione a volte diventano impossibili, le sue parole scostanti. Ma la verità che prima o poi viene a galla conferma, nonostante tutto, la diversità di vedute di Dio dinanzi ai facili inganni di coloro che tendono insidie e causano dolore. La certezza viene da Dio: “sarai la mia bocca: sono loro che devono tornare a te e non tu a loro”. Quanta verità è sottesa a queste parole ieri come oggi, soprattutto quando sono pudiche le orecchie degli ascoltatori che desiderano anche da noi sacerdoti, fumo negli occhi e leggerezze verbali e comportamentali. P. Angelo Sardone