Vanità delle vanità

«Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità: tutto è vanità» (Qo 1,2). Spesso la Bibbia attribuisce a personaggi illustri, come Salomone, il re sapiente, la composizione di qualche libro, singolare per i contenuti densi di saggezza ed eloquenza. Uno di questi è il Qoèlet che nella traduzione greca e per tanto tempo anche in quella italiana adoperata nell’area liturgica era detto «Ecclesiaste», cioè colui che parla nell’assemblea. Composto di appena 12 capitoli il testo che il grande biblista card. Gianfranco Ravasi definisce il più originale e scandaloso del Vecchio Testamento, presenta l’insegnamento al popolo, con riflessioni profonde sulle contraddizioni della vita, considerata da punti di vista diversi, talora anche fortemente pessimisti. Gli sforzi umani risultano inutili, difficile è la scoperta del significato della propria esistenza dal momento che il senso più profondo lo conosce solo Dio. Un’ironia fortemente critica sembra avvolgere il libro. Il tutto comunque si risolve in una forma fiduciosa di abbandono a Dio pur godendo di quanto la vita offre di bello perché proviene da Dio. Il termine «vanità» adoperato sin dall’inizio del poema, crea insieme un’impressione di fugacità ed un senso di assurdità. Le grandi verità sono sottese ad un argomentare tra il poetico ed il reale e richiamano una lettura attenta e profonda che va al di là delle righe. Spesso la vita dell’uomo si rispecchia perfettamente in questo enunciato biblico. Vale comunque la pena, nonostante gli affanni e le preoccupazioni, continuare a lavorare con sapienza e scienza, mietendo anche successo, nonostante che poi il tutto dovrà essere lasciato a un altro che può non aver faticato per niente. P. Angelo Sardone

Il fiuto vero del popolo

«Una condanna a morte merita quest’uomo, perché ha profetizzato contro questa città, come avete udito con i vostri orecchi!» (Ger 26,11). Seguendo alla lettera l’ingiunzione rivoltagli da Dio, il profeta Geremia nell’atrio del tempio di Gerusalemme avverte il popolo d’Israele che se non si convertirà con l’abbandono della condotta perversa e l’osservanza dei comandamenti, tutto sarà distrutto e la città diventerà esempio di maledizione per i popoli. Una simile invettiva irrita grandemente i sacerdoti ed i capi che non soltanto lo detestano ma cospirano contro di lui per farlo morire. Il profeta è ben consapevole della portata delle sue parole ma si difende affermando che è Dio che lo ha mandato veramente a profetizzare in tal senso. Per quel che si riferisce alla sua vita, è nelle loro mani. Facciano come meglio credono, addossandosi però la responsabilità del versamento del suo sangue innocente. Il popolo rivela la sua saggezza non permettendo che il profeta sia messo a morte, prendendo apertamente le sue difese contro i capi ed i sacerdoti. Molte volte si è ottusi dinanzi a situazioni analoghe, soprattutto quando si tratta di profeti schivi dalla ricerca di notorietà, adusati piuttosto al colloquio ed al rapporto intimo ed obbediente con Dio più che agli applausi ed alle compiacenze di audience, di riflettori accecanti o di carta stampata. Non sempre è facile riconoscere simili personalità: il popolo di Dio ha un fiuto singolare ed in circostanze particolari sa riconoscere e non fa condannare il profeta vero che non annunzia se stesso ma Dio per il quale è disposto a patire la privazione e la morte. P. Angelo Sardone

Marta, Maria e Lazzaro

«In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio» (1Gv 4,10) La prima lettera di S. Giovanni si pone in stretta connessione col quarto Vangelo. Vivere da figli di Dio significa vivere l’amore come è stato insegnato da Cristo, rompere cioè col peccato, osservare i comandamenti, giungere alle fonti della carità e della fede. Nella giornata odierna, dal 2021 per espresso volere di papa Francesco, seguendo quanto già S. Giovanni Paolo II aveva autorizzato nella pubblicazione del Martirologio Romano, si celebra congiuntamente la memoria dei Santi Marta, Maria e Lazzaro, amici del Signore. Vivevano a Betania a pochi km da Gerusalemme e la loro casa era un punto di riferimento del Maestro dove egli stesso sperimentava lo spirito di famiglia e l’amicizia. Qui predicava e si fermava per prendere un boccone: Marta era indaffarata per accoglierlo nel migliore dei modi, Maria ascoltava con docilità le sue parole, Lazzaro rispose prontamente al comando di uscire dal sepolcro dove da quattro giorni era stato collocato a seguito della morte. In tutti e tre i casi si trattava come di un compenso ai tre fratelli del bene grande della loro squisita accoglienza, della loro amicizia e della condivisione di amore. E’ molto importante e determinante ai fini del retto andamento della società, il coinvolgimento della famiglia nell’opera della evangelizzazione, perché ciò permette non solo di avere ospite Cristo, di accoglierlo e di sfamarlo, ma anche di godere dei suoi interventi strepitosi che consolidano il reciproco rapporto di amore e di condivisione affettiva. P. Angelo Sardone

Nelle mani del vasaio

«Ecco, come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani, casa d’Israele» (Ger 18,6). L’uso delle parabole non appartiene solo al Nuovo Testamento. Gli antichi profeti, a cominciare da Samuele, spesso accompagnavano il loro ministero con gesti simbolici che esprimevano la realtà di quanto andavano dicendo. Anche il profeta Geremia compie molti gesti simbolici: la sua stessa vita è tutta una simbologia. Uno dei primi oracoli viene pronunziato a seguito della sua presenza presso la bottega di un vasaio che stava lavorando al tornio. Mentre modellava un vaso, capitava che si guastasse e con la stessa creta ne modellasse un altro. Da questa scena prende avvio l’intervento del Signore che comunica al suo popolo di agire proprio come il vasaio: nelle sue mani la grezza argilla acquista una forma ben definita, nel senso anche che il suo volere si adatta alle situazioni concrete di debolezza o di fedeltà d’Israele. Intanto sta preparando per Il suo popolo una calamità grande se non abbandonerà la perversa sua condotta e migliorerà le azioni e le abitudini. L’uso del termine argilla, che dal greco significa splendente, bianco, richiama etimologicamente la “purificazione”. Essa avviene quando ci si lascia andare nelle mani di Dio e ci si lascia plasmare in maniera adeguata come vasi di santità nei quali fare abitare lo Spirito. Ciò deve avvenire sin da piccoli, facendosi impostare e modellare da una formazione umana, civile e cristiana di valore, senza lasciare, come tanti purtroppo affermano, all’improvvisazione ed alla scelta responsabile che poi ciascuno farà da grande, mettendo in difficoltà la propria stabilità di forma e di consistenza spirituale. P. Angelo Sardone

Sono loro che devono tornare a te, non tu a loro

«Ti libererò dalla mano dei malvagi e ti salverò dal pugno dei violenti» (Ger 15,21). La vita di Geremia e la sua attività profetica che si svolse nell’arco di circa 40 anni in uno dei periodi più travagliati della storia d’Israele, fu sempre complicata a causa della predicazione che risultava invisa a chi lo ascoltava. Il re in prima persona si sentiva attaccato, per questo gli rese difficile la vita proibendogli di recarsi al Tempio e persino la distruzione del rotolo che conteneva i suoi oracoli. Il suo ruolo non era solo di portaparole di Dio, ma in un certo senso aveva anche coscienza critica in una visuale storica e politica non dovuta al suo volere e modo di vedere, ma influenzato dallo Spirito di Dio. Le sventure da lui annunciate divennero realtà: Dio si servì dei Babilonesi per esprimere il suo giudizio su Gerusalemme con la distruzione e l’esilio. Il profeta intravvide un motivo di speranza: il ritorno dall’esilio sarà possibile per l’intervento di Dio, l’unico che può trasformare il cuore dell’uomo. Chiunque si affida a Dio e si rende nelle sue mani strumento della Parola da comunicare così come gli è stata affidata, anche piena di sdegno, va incontro naturalmente a tante difficoltà derivanti da ostilità, diversità di vedute, false certezze soprattutto di chi pensa di sapere. La sua vita e la sua azione a volte diventano impossibili, le sue parole scostanti. Ma la verità che prima o poi viene a galla conferma, nonostante tutto, la diversità di vedute di Dio dinanzi ai facili inganni di coloro che tendono insidie e causano dolore. La certezza viene da Dio: “sarai la mia bocca: sono loro che devono tornare a te e non tu a loro”. Quanta verità è sottesa a queste parole ieri come oggi, soprattutto quando sono pudiche le orecchie degli ascoltatori che desiderano anche da noi sacerdoti, fumo negli occhi e leggerezze verbali e comportamentali. P. Angelo Sardone

S.Giacomo Apostolo

«Portiamo sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2Cor 4,10). L’apostolo Paolo ha piena consapevolezza che la grandezza del suo ministero apostolico viene supportato dalla debolezza e dalle infermità dei cristiani. Ancora di più il tesoro del Vangelo della gloria di Cristo è portato nel vaso di creta della fragile umanità e del corpo depositario anche della morte di Gesù, in vista della manifestazione della vita. Prove e tribolazioni di ogni genere appaiono come riproduzione della morte di Gesù sulla quale Egli stesso ha trionfato con la sua gloriosa risurrezione. Questa certezza fu espressa nella vita e nella morte dell’apostolo Giacomo, il Maggiore, fratello di Giovanni, entrambi pescatori, figli di Zebedeo e Salome. Egli appartiene al primo gruppo dei discepoli chiamati da Gesù e denominato col fratello “Boanerghes”, figli del tuono” (Mc 3,17). Fu testimone dei principali avvenimenti della vita del del Maestro: la Trasfigurazione, la risurrezione della figlia di Giairo, la passione al Getsemani. Il calice indicato da Gesù come dono del Padre offerto ai suoi seguaci lo berrà, primo tra gli Apostoli, l’anno 42 quando a Gerusalemme morirà martire ad opera di Erode Agrippa. Inveterate tradizioni riferiscono che il suo corpo fu seppellito a nord-ovest della Spagna nel luogo che da lui prende il nome di Santiago de Compostela, notissimo sin dal secolo X, come meta di pellegrinaggi da ogni parte del mondo per il cosiddetto “Cammino di Compostela”. Cappello, mantello, bastone e conchiglia contraddistinguono il viandante e pellegrino che ancora oggi si reca costì per essere sostenuto nella dilagante oppressione del male e del peccato. P. Angelo Sardone

Santa Brigida di Svezia

«Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Una volta incontrato Cristo sulla via di Damasco, la vita di Saulo cambia in maniera radicale assumendo, attraverso la fede, un parametro completamente nuovo di esistenza umana sotto l’egida di un amore totale. La conversione è sinonimo di cambiamento reale, profondo, permanente, basato sopra il fondamento dell’amore di Cristo che si “consegna” a chi chiama, ama ed invia per una specifica missione. L’esperienza di Saulo-Paolo rivive nella testimonianza di S. Brigida di Svezia (1303-1373), compatrona d’Europa, una delle sante più note e venerate, una sorta di profeta dei tempi nuovi, per via anche delle celebri sue “orazioni”. Nel corso della sua esistenza ha conosciuto diverse espressioni vocazionali: sposa, madre, vedova, fino alla scelta alla sequela di san Francesco nel Terz’Ordine, e poi la fondazione dell’Ordine religioso del SS.mo Salvatore, suore che da lei prendono il nome. Dotata di un particolare dono di grazia coltivato con tenacia e passione in pellegrinaggi effettuati a scopo di penitenza, manifestato nelle rivelazioni da parte di Gesù e di Maria, divenne protagonista di una singolare esperienza mistica. La sua notorietà è viva anche oggi soprattutto per la pratica delle note “orazioni” fatte da tanti cristiani di tutte le età in ogni parte del mondo. S. Brigida richiama la necessità del rinnovamento interiore, del ritorno ai valori permanenti del Vangelo, perché la società di ogni tempo si costruisca su qualcosa di valido e duraturo (Giovanni Paolo II). P. Angelo Sardone

L’apostola degli Apostoli

«Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Una volta incontrato Cristo sulla via di Damasco, la vita di Saulo cambia in maniera radicale assumendo, attraverso la fede, un parametro completamente nuovo di esistenza umana sotto l’egida di un amore totale. La conversione è sinonimo infatti di cambiamento reale, radicale, permanente, basato sopra il fondamento dell’amore di Cristo che si “consegna” a chi chiama, ama ed invia per la missione. L’esperienza di Saulo-Paolo rivive nella testimonianza di S. Brigida di Svezia (1303-1373), compatrona d’Europa, una delle sante più note e venerate, una sorta di profeta dei tempi nuovi, per via anche delle celebri sue “orazioni”. Nel corso della sua esistenza ha conosciuto le diverse espressioni vocazionali di essere sposa, madre, vedova, fino alla scelta alla sequela carismatica di san Francesco, rimanendo nel mondo prima, e poi la fondazione dell’Ordine religioso del SS.mo Salvatore, che da lei prende il nome. Dotata di un particolare dono di grazia coltivato con passione in pellegrinaggi a scopo di penitenza, manifestato nelle rivelazioni da parte di Gesù e di Maria, divenne espressione di una singolare esperienza mistica. La sua notorietà è viva anche oggi soprattutto nella pratica delle celebri “orazioni” praticate da tanti cristiani di tutte le età. La vita di S. Brigida richiama la necessità del rinnovamento interiore, del ritorno ai valori permanenti del Vangelo, perché la società di ogni tempo si costruisca su qualcosa di valido e duraturo (Giovanni Paolo II). P. Angelo Sardone

L’amore della giovinezza

«Così dice il Signore: Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto» (Ger 2,2). Le più antiche predicazioni di Geremia si riferiscono all’apostasia di Israele, alle ricadute nell’idolatria degli abitanti di Gerusalemme. Saranno questi gli elementi che contrassegneranno l’intero ministero profetico, fino a farlo diventare inviso alla gente, re e popolino, per la cruda verità gettata con coraggio in faccia a tutti per ordine di Jahwé. L’intervento del Signore fa sempre riferimento al ricordo dei tempi passati, alle gesta da Lui compiute e, soprattutto, alla dimensione affettiva che colora i rapporti divini in termini di alleanza sponsale col suo popolo. Molte volte si pensa ad un dio asettico, scevro da confidenze umane e sollecitazioni affettive di valore. Il nostro è il Dio del cuore che non solo ha inserito nel cuore dei viventi gli elementi sacri e naturali degli affetti ma che Egli per primo manifesta e realizza in contesti personali e comunitari. Il riferimento talora diventa esplicito al tempo della giovinezza quando tutto è speciale, soprattutto nelle manifestazioni genuine di affettività innocente e coinvolgente, quando la sequela è frutto di fiducia e generosità, quando l’incontro è puro e sacro. Non sempre si riesce a capire tutto questo, perché non sempre lo si conosce né in termini biblici di formazione, né in termini concreti di esperienza, a meno che non siano espressioni fuggevoli e sentimentali favorite da guide che non sanno o non vogliono parlare col linguaggio di Dio, forse anche quello un po’ più duro. P. Angelo Sardone

La vocazione di Geremia

«Non dire: “Sono giovane”. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò e dirai tutto quello che io ti ordinerò. Non aver paura di fronte a loro» (Ger 1,7). Il libro di Geremia, uno dei cosiddetti “profeti maggiori”, riporta da principio la storia del giovane profeta, contrassegnata dalla chiamata ricevuta da Dio. Siamo intorno al 626 a.C. il periodo più tragico che prepara la disfatta e la distruzione di Gerusalemme del 587 a.C. Gli avvenimenti della sua vita personale sono più noti di quelli di altri profeti. Con particolari accenti di commozione egli descrive la storia della sua vocazione. I parametri temporali sono quelli ancor prima della nascita: sin da allora egli era stato consacrato, cioè apparteneva al Signore per la sua missione profetica. Come Isaia, Geremia fa presente la sua giovane età e l’incapacità di parlare. Dio stronca ogni obiezione invitandolo a non dire queste cose, ma ad andare da quelli cui Dio lo manderà e dire tutto ciò che gli sarà stato comandato, senza temere alcuno perché Dio gli sarà vicino per proteggerlo. La storia di ogni vocazione, soprattutto quella di speciale consacrazione, è spesso contrassegnata da questi elementi che rendono “particolare” il chiamato non per quello che è ma per quanto riceve da Dio in vista della missione da compiere. Non ci deve essere paura dinanzi alle immancabili difficoltà determinate da eventi e persone perché non solo c’è la garanzia di avere Dio al fianco, ma anche e soprattutto perché è la Parola che lo guida e lo protegge dinanzi a contraddizioni, avversità e pericoli. Chi ha coscienza di ciò riesce in tutto. Chi pensa che tutto dipenda da sé e dalle proprie capacità, rimane impacciato. Se poi è acclamato ed osannato da evanescenti e sdolcinate presenze, il gioco dura poco e il suo ricordo cade presto in oblio. P. Angelo Sardone