Vanità delle vanità
«Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità: tutto è vanità» (Qo 1,2). Spesso la Bibbia attribuisce a personaggi illustri, come Salomone, il re sapiente, la composizione di qualche libro, singolare per i contenuti densi di saggezza ed eloquenza. Uno di questi è il Qoèlet che nella traduzione greca e per tanto tempo anche in quella italiana adoperata nell’area liturgica era detto «Ecclesiaste», cioè colui che parla nell’assemblea. Composto di appena 12 capitoli il testo che il grande biblista card. Gianfranco Ravasi definisce il più originale e scandaloso del Vecchio Testamento, presenta l’insegnamento al popolo, con riflessioni profonde sulle contraddizioni della vita, considerata da punti di vista diversi, talora anche fortemente pessimisti. Gli sforzi umani risultano inutili, difficile è la scoperta del significato della propria esistenza dal momento che il senso più profondo lo conosce solo Dio. Un’ironia fortemente critica sembra avvolgere il libro. Il tutto comunque si risolve in una forma fiduciosa di abbandono a Dio pur godendo di quanto la vita offre di bello perché proviene da Dio. Il termine «vanità» adoperato sin dall’inizio del poema, crea insieme un’impressione di fugacità ed un senso di assurdità. Le grandi verità sono sottese ad un argomentare tra il poetico ed il reale e richiamano una lettura attenta e profonda che va al di là delle righe. Spesso la vita dell’uomo si rispecchia perfettamente in questo enunciato biblico. Vale comunque la pena, nonostante gli affanni e le preoccupazioni, continuare a lavorare con sapienza e scienza, mietendo anche successo, nonostante che poi il tutto dovrà essere lasciato a un altro che può non aver faticato per niente. P. Angelo Sardone