La vocazione di Eliseo
«Va’ e torna, perché sai che cosa ho fatto per te» (1Re 19,20). Il servizio a Jahwé svolto con passione e non senza difficoltà dal profeta Elia, continua col suo discepolo Eliseo: su di lui, infatti, si erano posati due terzi dello spirito del maestro, assunto in cielo da un carro di fuoco. Era tale la quantità di beni che spettava al figlio maggiore. Aveva inoltre recuperato il mantello col quale, al pari di Elia, percuoterà il Giordano provocando l’apertura del fiume ed il passaggio a piedi asciutti. Le sue gesta, a cominciare dalla sua vocazione, sono riportate nel Primo e Secondo Libro dei Re che presentano come una collezione di aneddoti più che una biografia. La sua statura non è pari a quella di Elia, nonostante sia ammirato come taumaturgo. Eliseo, figlio di Safat, era intento all’aratura con dodici paia di buoi, quando Elia, in cammino verso l’Oreb, lo incontrò ed in segno di diritto su di lui, gli gettò addosso il suo mantello. Nell’accezione biblica il mantello simbolizza la personalità ed i diritti di uno che è proprietario. Con simile gesto Elia manifesta il diritto su Eliseo che da adesso in poi non gli si può sottrarre. Il resto è tutta una conseguenza: Eliseo gli chiede di andare a salutare i suoi genitori, quindi distrugge il suo aratro, uccide un paio di buoi la cui carne dà da mangiare la gente, si alza dal suo anonimo stato di figlio ed entra a servizio pieno del profeta. Si raccordano così tutti i connotati della chiamata divina, questa volta mediata dall’uomo, che fa prevalere la scelta di Dio ed il suo diritto sull’uomo stesso, in vista di una missione ben precisa affidatagli, nella continuazione di quella più grande del suo maestro. Questa vicenda si ripete anche oggi: occorre comunque un Elia di turno. P. Angelo Sardone