I poveri di Jahwè
La semina del mattino
«Lodate il Signore, perché ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori» (Ger 20,13). Un estratto significativo delle «confessioni» del profeta Geremia riportate nel capitolo 20 dell’omonimo libro, fa riferimento esplicito alla sua condizione di vessato dalla calunnia e denunciato dai suoi detrattori, finanche gli stessi amici. Ce l’hanno a morte con lui. La lotta è dura e lo sarà sino alla fine. Il profeta comunque non si sente solo, perché averte la presenza costante del Signore accanto, che gli garantisce la stabilità e la non prevaricazione dei nemici. La confessione diventa preghiera di lode al Signore: è consapevole di essere stato liberato dalle mani dei malfattori, sentendosi agli occhi di Dio “povero”. Il linguaggio ebraico caratterizza col termine «Anawim» i «poveri di Jahwé». La povertà implica la piccolezza, l’umiliazione, una dimensione di povertà spirituale davanti a Dio e non semplicemente assenza di cose materiali, o denaro. I poveri sono coloro che attendono la salvezza ed hanno fiducia nel Signore. Ma povero è anche chi malauguratamente incappa nelle mani dei prevaricatori, dei malfattori, dei prepotenti, dei tiranni, della gente di malaffare. Allora la povertà diviene addirittura spaventosa, perché l’individuo viene privato della sua dignità umana ed asservito al potere, alla bieca sopraffazione. Povero è infine chi è senza Dio. Le sue ricchezze anche materiali diventano fumo e si tramutano in giudizio spietato. Scampare dalle mani dei malfattori esige un coraggio grande ed una forza d’animo che solo il Signore concede a chi glielo chiede con fiducia ed umiltà. P. Angelo Sardone