La perversione di Israele
La semina del mattino
«Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito» (Es 32,7). Distogliendolo dalla contemplazione e dal mistico rapporto con Lui nel fulgore della luce, Dio ingiunge a Mosé di scendere a valle dove il popolo, affidato momentaneamente ad Aronne, sta compiendo riti che inneggiano ad un idolo. Le parole di Jahwé sono dure: il popolo si è pervertito, è un popolo dalla dura cervice che non si è affidato totalmente a Lui. Infatti, stanco e deluso del cammino nel deserto, rimpiangendo quanto aveva lasciato in Egitto, esausto per la mancanza di acqua e di carne, nauseato dalla manna, il popolo aveva convinto Aronne a forgiare un dio visibile in un vitello d’oro e ad inneggiare a lui. La fede del popolo non ancora matura e l’ostinazione dinanzi ad una meta ancora imprecisa e fluttuante giorno per giorno, sfocia in una vera e propria idolatria. Il testo sacro la definisce “perversione”. È una parola terribile, un giudizio molto forte. La perversione richiama infatti qualcosa che va contro la natura, contro il retto modo di agire e quando di mezzo c’è Dio il peso e la responsabilità sono davvero enormi. L’uomo da sempre, a causa delle conseguenze della colpa originale e dell’uso improprio della grazia, spesso tende alla perversione. Il gusto del diverso, il desiderio della prevaricazione prende il sopravvento sulla retta ragione e si trasforma in perversione. Gli esempi biblici della Genesi (la torre di Babele, i fatti esecrandi di Sodoma e Gomorra) sono espliciti e chiari. Come l’intercessione di Mosé indusse Dio al perdono, le suppliche della Chiesa si elevano con fiducia davanti al Signore per stornare la sua giusta ira, in nome della sua paternità che è misericordia infinita. P. Angelo Sardone