Il figlio strappato a Dio con la preghiera
«Signore degli eserciti, se darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita» (1Sam 1,11). Levatasi dalla sua prostrazione e dalla profonda amarezza che la relegava come tra le trascurate da Dio, nel tempio di Silo Anna prorompe in pianto ed eleva al Signore la sua accorata preghiera. Il suo dire, incompreso anche dal sacerdote Eli che la ritiene ubriaca, è profondo: nel suo cuore si mescolano fede ardente ed amarezza straziante. Eppure vince l’abbandono fiducioso nelle mani di Dio al quale strappa il dono di un figlio mediante la formulazione di un voto: «se mi darai un figlio, egli apparterrà a Te per tutti i giorni della sua vita. Sarà un nazireo, un consacrato a Te!». Una caratteristica fondamentale per il “nazireo”, che poteva essere anche una donna, era la proibizione di radersi i capelli e la barba. Ad essa si aggiungeva il fatto di non bere alcolici ed evitare cibi impuri. Tale impegno, fatta qualche eccezione, era temporaneo. Il Signore donerà ad Anna il sospirato figlio che sarà chiamato Samuele, che significa “il suo nome è El (Dio)”. Il dialogo con Dio e l’ottenimento del dono richiesto con tutte le forze, potrebbe sembrare un baratto, come se Anna avesse indotto il volere di Dio costringendolo a donargli il figlio, a concederle la gioia della maternità, rendendoselo propizio con l’impegno della restituzione. Tante volte funziona anche così. Sta di fatto che il Signore è fedele al suo impegno ed altrettanto lo è Anna che si distacca dal figlio, lo porta al tempio e lo consegna al sacerdote. P. Angelo Sardone