Schiavitù e libertà nel servizio
«Parlo un linguaggio umano a causa della vostra debolezza» (Rm 6,19). Le Lettere di S. Paolo contengono un alto contenuto teologico di non sempre facile ed immediata comprensione. Scritte sotto ispirazione divina, sono anche indice dell’elevatezza espressiva del lessico spirituale che si coniuga con l’accezione dei concetti alla portata dei lettori, non tutti letterati, colti o teologi. Il linguaggio adoperato, soprattutto per concetti di alto profilo spirituale, si adatta alla debolezza del pensiero e della comprensione. Schiavitù e servizio sono poli importanti nelle relazioni con gli altri e determinano l’ambivalenza del vittimismo, se schiavi, di collaborazione, nel caso del servizio. Il servizio di Dio è segno di una libertà conquistata dall’uomo, sulla base del riconoscimento della sua grandezza e del suo potere. Se ci si allontana da Dio, soprattutto con una vita moralmente dubbia, liberi da ogni vincolo, si rischia di cadere nella empietà e nella stoltezza più grande. Il vero bene dell’uomo è stare vicino a Dio e servirlo nella santità della vita e nella giustizia delle proprie azioni e comportamenti. Quando si è schiavi della carne si è vittime della impurità e dell’iniquità. Quando si è liberi dal peccato, si diviene servi di Dio e si producono frutti di santità che mirano alla vita eterna. Non si può vivere in una disordinata ambivalenza tra il peccato e la grazia: a meno che non si faccia una scelta ben precisa per l’una o l’altra realtà. Ciò che nuoce soprattutto oggi, è il facile ed opportunista accomodamento che mentre dà l’impressione di vivere la libertà e nella libertà, rende schiavi e servi del peccato e di un lassismo pericoloso che rende sterile qualsiasi azione spirituale. P. Angelo Sardone