La parabola degli alberi. Dio unico re in Israele
«Vieni tu, regna su di noi!» (Gdc 9,10). La condizione politica di Israele è quella di un popolo teocratico, cioè che ha Dio come unico Signore, unico vero re. Ciò lo distingue dagli altri popoli e l’esperienza dell’esodo lo conferma ampiamente. La collocazione nella Terra promessa lo incita però ad una sorta di conformazione agli altri popoli, lo induce a volere un proprio re. Si determina così un forte contrasto con la fede e l’abbandono fiducioso nell’unico Dio che è l’unico signore e il nuovo atteggiamento sa di prostituzione. Il Libro dei Giudici racconta l’evento tragico della faida familiare avvenuta dopo la morte di Gedeone. Un suo figlio, infatti, Abimelec, che non ha diritto di successione perché nato da una schiava, fa uccidere tutti i suoi settanta fratelli. Il più piccolo, Iotam, che scampa il pericolo perchè si è nascosto, come Gedeone si fa paladino dell’unica sovranità che spetta a Dio. Sul monte Garizìm proclama una significativa parabola. In essa, con l’ausilio di una intelligente simbologia agreste, induce il popolo a comprendere che non ha bisogno di essere guidato da un re umano, perché gode del sostegno e della supremazia di Jahwé. Gli alberi adoperati come immagine di stabilità e ricchezza, l’ulivo, il fico e la vite non vogliono rinunziare alle loro naturali potenzialità per governare sugli altri alberi. Il rovo spinoso è l’immagine più adatta a spiegare l’identità di Abimelec, il sanguinario dittatore che può portarli alla rovina. Qualunque potere non potrà mai eguagliare quello di Dio che non rende schiavi ed inebria con le lusinghe il popolo anche quando questi manifesta tutta la sua debolezza, la paura e l’inconsistenza di autonomia e saggezza. P. Angelo Sardone