La vocazione di Mosè
«Il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io ho visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò va’! Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo!» (Es 3,10). Il sommario dell’infanzia e della vocazione di Mosè è compendiato nei capitoli 2 e 3 dell’Esodo. Per un intervento omicida nei confronti di un Egiziano che aveva colpito un Ebreo e la successiva paura determinata da un altro Ebreo che aveva visto l’accaduto e non aveva voluto accettare la sua mediazione pacificatoria nei confronti di un suo connazionale, Mosè era scappato via. Rifugiatosi nella terra di Madian, aveva sposato Zippora, figlia di Ietro sacerdote di Madian, dalla quale aveva avuto un figlio, Gherson e si era dedicato alla pastorizia. Un giorno attratto dallo strano fenomeno di un roveto che ardeva e non si consumava, tentò di avvicinarsi e il Signore gli si rivelò e gli parlò. Dio gli si manifestò come il Dio dei suoi Padri, i patriarchi e gli rivelò il suo nome “Jahwé”. Lo aggiornò sulla condizione degradante e sofferta del popolo d’Israele vittima delle angherie e dei soprusi degli Egiziani. Infine lo mandò per liberare il popolo e farlo uscire dall’Egitto. Questo racconto si pone come uno dei vertici non solo del libro dell’Esodo ma anche della storia di Israele e la missione affidatagli da Dio. La sofferenza del popolo non è più tollerabile; il tempo della permanenza in terra straniera si è compiuta, è scoccata l’ora della definitiva collocazione nella terra di Canaan come promesso ad Abramo. La disponibilità di Mosè, fragile nella sua paura ma vigoroso nella sua fede, sarà l’elemento provvidenziale attraverso il quale Dio aprirà la sua via per la conquista della terra riservata al popolo della sua compiacenza. P. Angelo Sardone