Il vanto della debolezza
«Di me stesso invece non mi vanterò, fuorché delle mie debolezze» (2Cor 12,5). La consapevolezza umile e sincera, porta S. Paolo a non negare la reale situazione di privilegio a lui riservata da Cristo per il suo apostolato. Pur di difendersi e non lasciarsi mettere sotto i piedi da presunti apostoli e dai Corinti che vanno facilmente dietro a certe affermazioni di sola convenienza, Egli enumera, non senza vergogna, le rivelazioni e le visioni e non ultimo il privilegio che il Signore Gesù gli ha riservato: è stato rapito fino al terzo cielo e ha udito cose che non si possono pronunziare. Per ben due volte richiama poi l’assoluto oggetto del suo vanto: le sue debolezze, evidenziando il fatto che proprio per non farlo montare in superbia Gesù ha permesso che gli fosse conficcata nella carne una spina e che un inviato di Satana lo schiaffeggiasse. Si suppone che si tratta di tentazioni della carne contro la castità, di persecuzioni subite, di qualche malattia come le febbri malariche. Nella mentalità ebraica queste cose erano dovute ad un intervento diretto del diavolo. Umiltà ed abnegazione non possono non fare i conti con l’assoluta realtà dei fatti che sono enormemente superiori alle debolezze vantate. La grazia di Dio è più grande di qualsiasi cosa e si manifesta in forma piena proprio nella debolezza che rende davvero forti. Questa contraddizione terminologica è un nuovo modo di intendere il rapporto concreto e vero col Signore che per mezzo della sua grazia santifica, orienta, sostiene, vivifica. Quanto c’è da apprendere da parte di tutti, religiosi e laici, piccoli e grandi per realizzare un autentico cammino di sequela del Signore! P. Angelo Sardone