Il vitello d’oro: una idolatria che continua anche oggi
259. «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito» (Es 32,7). Mentre Mosè era impegnato sul monte a colloquio con Dio per ricevere la Testimonianza, ossia le due tavole di pietra sulle quali erano incisi i dieci Comandamenti, il popolo a valle, stanco e deluso, istiga Aronne a fare per loro un dio che cammini sulla stessa strada e sia riconosciuto come colui che l’ha fatto uscire dall’Egitto. Aronne cade nella trappola idolatra: con gli orecchini d’oro delle donne conia un vitello e lo presenta come il vero liberatore, il “piedistallo della divinità invisibile”. È lo stesso Jahwé ad avvertire l’ignaro Mosè di quello che sta accadendo e ad invitarlo ad affrettarsi a scendere, definendo «perversione» l’azione compiuta dal popolo osannante. Le parole di Dio con linguaggio antropomorfico, sono dure e votate allo sterminio. Mosè allora diviene intercessore e con una sorta di arringa convince Dio a desistere dalla giusta ira e dai propositi distruttivi. Dio abbandona il suo proposito. Non si ferma però Mosè che, sceso a valle ed arso di santo zelo, prima scaglia le due tavole spezzandole ai piedi della montagna e poi fa il resto col vitello bruciandolo, frantumandolo, riducendolo in polvere che getta nell’acqua e fa bere agli Israeliti. Questa storia di altri tempi si ripete puntualmente. Il popolo di dura cervice è anche l’attuale, facilmente entusiasmabile, ma col cuore lontano da Dio, che asseconda gli idoli più convenienti della bellezza, del potere di turno, del tornaconto, del favore lecito e non, suscitando il disappunto. La mediazione continua anche oggi attraverso la Chiesa e quei ministri che pagano di persona con la serietà del comportamento, la coerenza e l’eroismo della fede. P. Angelo Sardone