Svuotarsi e spogliarsi
La semina del mattino
124. «Svuotò se stesso assumendo la condizione di servo» (Fil 2,7). L’inno cristologico della Lettera ai Filippesi, molto probabilmente, al dire degli studiosi, era già cantato nelle primitive comunità. È un capolavoro di teologia e letteratura biblica, un excursus contemplativo della vita di Cristo, della sua vicenda umana ancor prima della nascita, fino alla sua vita terrena ed alla sua ascensione al cielo. L’esortazione iniziale alla Comunità riguarda il comportamento concreto e il modello che i cristiani devono seguire, il Signore Gesù. Per avere gli stessi suoi sentimenti, viene presentato un quadro riassuntivo dell’itinerario divino-umano perché sia esempio per il cammino del credente. Ogni uomo che si vuole realizzare deve inoltrarsi in questo percorso. Paolo lo traccia con concetti analoghi a quelli di Plotino, un filosofo del III sec. a.C. seguace di Platone, in particolare in riferimento alla cosiddetta anastrofé (emanazione, processione dall’uno, abbassamento), ed all’epistrofè (conversione, innalzamento). Dio è amore e la sua prima caratteristica è lo svuotamento: «spogliò se stesso». Spogliarsi si riferisce all’esterno, svuotarsi, l’interno; l’amore cede tutto lo spazio all’altro, accoglie l’altro, non occupa posto, diviene pura accoglienza. La prima manifestazione dell’amore è il vuoto: Cristo si annienta assumendo la condizione di servo. Un esempio concreto di questo percorso è S. Martino de Porres (1579-1639), che oggi la Liturgia ricorda. Con la sua vita da converso domenicano, la via del crocifisso da lui percorsa come inserviente, spazzino, barbiere, conferma la validità della scelta fondamentale dello svuotamento di sé per riempirsi di Cristo ed essere da Lui esaltato. P. Angelo Sardone