Fuoco d’amore
112. «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12, 49). Eraclito, uno dei filosofi del VI secolo a.C. riteneva il fuoco l’archè, ossia il principio costitutivo delle cose: con la rarefazione e la condensazione si trasforma in aria, acqua e terra. Pur essendo vivo e in continuo movimento, il fuoco rimane sempre identico a sé, in un divenire continuo, analogo alla nascita ed alla morte, all’inizio ed alla fine. Nella tradizione biblica dell’Antico e del nuovo Testamento il fuoco ha una forte valenza simbolica e pastorale. E’ sinonimo della mediazione della rivelazione di Dio: il roveto ardente di Mosè, il fuoco che distrugge Sodoma e Gomorra, il fuoco avvampante di Elia, le lingue di fuoco della Pentecoste sono solo alcune manifestazioni che richiamano atti cultuali. Nella letteratura profetica il fuoco ha dimensione escatologica, cioè delle cose ultime, segno premonitore del giorno di Jahvè, evoca il giudizio e l’annientamento dei nemici, è strumento di sofferenza per i dannati nel fuoco dell’inferno. Nella veglia del Sabato santo viene acceso e benedetto il fuoco nuovo dal quale si attinge la fiamma del cereo pasquale segno di Cristo Risorto ed inizio di quelle feste pasquali che accendono il desiderio del cielo e guidano alla festa dello splendore eterno. Il vangelo e la Parola di Gesù sono fuoco che divampa e che annuncia la salvezza. Il fuoco di Cristo non è fuoco di morte ma di vita: per questo Gesù si rammarica che questo fuoco non arde, non accende di passione. Una testimonianza concreta di come il fuoco arda, bruci la vita e dia vigore alla missione apostolica. è S. Giovanni Paolo II (1920-2005) che ha incendiato il mondo intero e lo ha fatto bruciare di verità e di amore. P. Angelo Sardone