Dio veglia su di noi
Mattutino di speranza 16 giugno 2020
Qualunque cosa facciamo, Qualcuno sempre veglia su di noi. Non è fatalismo, né superstizione ma concezione di fede e conseguenza dell’affidamento a Dio. L’uomo, proprio per la sua composizione di anima e corpo, di mente e di cuore, di pensieri ed operazioni, di chiarezze e contraddizioni, esprime la sua identità di creatura finita e limitata, in termini di subordinazione a Dio e sviluppa un dialogo con Lui in risposta alla sua apertura d’amore e di giustizia infinita. Il testo sacro della Genesi in un suggestivo quadro antropomorfico, cioè adoperando immagini e categorie umane comprensibili alla mente, presenta Dio Padre come interlocutore dell’uomo e della donna nel Paradiso terrestre dove amabilmente passeggia alla brezza del mattino. Tutto è limpido e sereno fino al momento del peccato. Tutto si scompagina con l’iniziativa dell’orgoglioso ed astuto serpente, visibile materializzazione del demonio, che abbaglia ed acceca di altrettanto desiderio di grandezza ed autonomia, la mente della donna e, di conseguenza, dell’uomo. Essi cedono dinanzi alle lusinghe del diavolo e cadono inesorabilmente nella disobbedienza, venendo meno all’unica proibizione di Dio di non toccare il frutto dell’albero che stava in mezzo al giardino, l’albero della conoscenza del bene e del male. Immediatamente scoprono di essere nudi: i loro occhi innocenti, la loro mente pura, i loro comportamenti trasparenti sono intorbiditi ed offuscati dall’avvento del male che li fa sentire pieni di vergogna l’uno verso dell’altro. A maggior ragione si sentono tali nei confronti di Dio del quale sentono i passi e si nascondono tra gli alberi. Per la prima volta il dialogo che fino allora era stato intimo e profondo, carico di verità e condivisione di amore e felicità piena, che non aveva avuto bisogno di mediazione di parole e di ingiunzioni proibitive, perché si esprimeva con gli sguardi, col sorriso, con la gioia di appartenenza e non di dipendenza opprimente, diventa interrogazione da parte di Dio per la scoperta dell’errore e la ricerca della verità, reciproca accusa tra l’uomo e la donna. Seguono parole precise: «Dove sei?» dice Dio. «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto», risponde l’uomo. «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo?» incalza Dio, «Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato», risponde l’uomo scusandosi. «Che hai fatto?» chiede Dio alla donna. «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato» conclude la donna. Dialogo drammatico con formula autoaccusatoria da parte di entrambi i progenitori pur nel tentativo di schermirsi (Gen 3, 1-19). Da allora in poi l’autore sacro li denomina Adàm (fatto di terra, o meglio terra) ed Eva (madre di tutti i viventi). Provvide lo stesso Creatore a far loro delle vesti di pelle al posto delle cinture di foglie di fico che coprivano le loro nudità, a significare che così Dio rendeva sensibile ed operante dentro di loro la coscienza, il «nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria» (GS 16) e stimolava il santo timore. Coscienza e timore sono indispensabili per crescere, per vivere bene, per difendersi dal male. La coscienza morale, in tensione verso il vero bene, adoperando i mezzi donati da Dio, la ragione e la legge divina, deve formarsi rettamente e nella verità perché l’uomo possa obbedirle e scegliere in maniera adeguata ciò che deve fare e ciò che non deve fare. La retta coscienza emette la sentenza sul male commesso e chiama l’uomo ad un pegno di conversione e speranza. Non sempre l’ignoranza ed i giudizi erronei su fatti, situazioni personali ed altrui, sono esenti da colpevolezza. Ad una coscienza erronea e cieca per l’abitudine al peccato, deve sostituirsi una coscienza buona e pura illuminata dalla fede sincera. La retta coscienza si forma sulla scorta della Parola di Dio che è luce e della preghiera. Il rapporto di amore con Dio, libera dalla paura e rende l’uomo confidente, senza timore perché «nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore» (1Gv 4,18). La cura e l’attenzione di Dio sopra gli uomini, che bene si esprime col verbo “vegliare”, cioè stare sveglio, vigilare, proteggere, mira a spingerci al bene ed evitare il male onde «condurre una vita serena e tranquilla in tutta pietà e dignità» (1Tim 2,2). Dio veglia su di noi, ma anche e soprattutto noi dobbiamo stare attenti ed agire secondo la retta coscienza, perché la pratica di vita cristiana nelle opere concrete, sia sempre in assonanza con quanto viene proclamato con le labbra. P. Angelo Sardone