Amor con amor si paga

Solo il Signore conosce il cuore di ogni uomo. Egli lo scandaglia nella sua misteriosa profondità, si inoltra nelle recondite ed inaccessibili vie che portano al suo centro. Lo penetra e lo riempie con la ricchezza dei suoi doni e del suo amore. Gli fa gustare la dolcezza della sua presenza e la beatitudine che si gode nello stare con Lui. Mentre l’uomo guarda ciò che è esterno, valuta ed apprezza ciò che appare, si incanta dinanzi all’effimero, Dio guarda il cuore, vede anche un minimo pensiero e valuta ogni piccolo gesto. L’amore per il proprio simile donato e ricambiato dalla persona amata, per quanto possa essere profondo, completo e duraturo e rispondere al legame naturale della carne e del sangue, non potrà mai eguagliare «l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza». (Ef 3, 18). L’amore, infatti, nutre con la verità della conoscenza e la pienezza della sua comprensione. Il modo di agire di Dio è come un gioco di amore, sta “cuore a cuore” ed offre con generosità fedeltà e misericordia infinita; la durata del suo amore è l’eternità. Per quanto possa essere naturale amare, pure si impara dalla scuola della vita e della fede a coltivare l’amore, a renderlo stabile, a liberarlo dai condizionamenti e dagli egoismi, a farne l’ideale della propria esistenza e del proprio impegno. Dio nutre l’uomo con la ricchezza del suo amore e gli chiede di ricambiarlo attraverso la condivisione con gli altri, fino al gesto supremo di dare la vita: «Non esiste amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Non si tratta semplicemente di gesti eroici che peraltro non sono alla portata di tutti, ma di un insegnamento di vita da apprendere e tradurre ogni giorno nella dinamica del rapporto con Dio e con gli altri. Non è una sorta di melliflua capacità di amare, spesso confusa con una proiezione all’esterno delle proprie esigenze e bisogni, ma una vera e propria crescita nella verità del proprio essere e del proprio agire. Dare la vita è un impegno, una risoluzione, una costante del pensiero e dell’azione del cristiano per vivere evangelicamente ogni giorno le opportunità che Dio gli dona per crescere e dare senso alla propria esistenza. Le situazioni ed i condizionamenti della vita, soprattutto in alcune fasi storiche critiche come quella attuale, di sofferenza e di preoccupazioni, possono fare aprire gli occhi ed il cuore alla comprensione di queste realtà. Esse non sono elaborate dal cervello con una sterile considerazione filosofica, ma trovano nella profondità del cuore dove convivono e coesistono affetti e sentimenti, una fonte, una luce ed uno stimolo efficace. Uno dei padri della letteratura italiana, Francesco Petrarca l’aveva dichiarato: «Amor con amor si paga, chi con amor non paga, degno di amar non è». L’aulica citazione vuole essere uno stimolo al cuore ed alla mente per comprendere la grandezza e la profondità dell’amore onde realizzarlo fino in fondo nei confronti di Dio e del prossimo. Non può esprimersi solo in mera filantropia, cioè in un sentimento umano di solidarietà nei confronti degli altri che condividono la stessa situazione di crisi e che cercano nel sostegno reciproco, un’ancora di salvezza per le miserie morali e materiali, ma in una decisa volontà di comprendere e condividere le ragioni dell’altro, di sentire la pena dell’altro come pena personale, di non avvertire l’uomo come nemico, avversario da ingannare con mille ingegnose astuzie, ma di pensarlo un altro “se stesso” da comprendere, aiutare, amare. Con la parola, con i mezzi spirituali e materiali, con la vicinanza ed il sostegno, se occorre, con il dono della propria vita. Questo è il Vangelo insegnatoci da Cristo. P. Angelo Sardone

Madonna del Rosario di Pompei

Il Mattutino della speranza

Venerdì 8 maggio 2020, Memoria facoltativa della Madonna del Rosario di Pompei

 

Il testamento di amore scritto da Gesù con il sangue della sua passione, si conclude sulla croce con un singolare dono e le parole che attestano le sue ultime volontà: «Donna, ecco tuo figlio; figlio ecco tua madre!» (Gv 19, 26-27), ossia la maternità universale di Maria. Da sempre la Tradizione Cristiana e l’acuta riflessione esegetica, a cominciare dai Padri della Chiesa, hanno identificato in Giovanni, il più giovane degli Apostoli, cui è rivolta l’attenzione testamentaria, l’umanità intera. Egli stesso lo afferma: «Da quel momento il discepolo la prese nella sua casa» (Gv 19,27). Maria di Nazaret sotto la croce è divenuta Madre per la seconda volta: Gesù ha voluto affidare a Lei, nella persona del discepolo che Egli amava, l’intera umanità. Ad Eva, la “madre di tutti i viventi” è subentrata la “madre dei redenti”. Questa sublime maternità, a cominciare dal Cenacolo di Gerusalemme prima e dopo la discesa dello Spirito Santo, si è espressa anche nei termini di «Madre della Chiesa», come la definirà solennemente S. Paolo VI il 1965 a conclusione del Concilio Vaticano II. Essa si manifesta con la presenza efficace nella vita della Chiesa e dei cristiani, in termini di custodia, premura, attenzione come a Cana di Galilea, correzione materna ed indicazione del cammino più autentico di vita cristiana per conseguire la salvezza e piacere a Gesù. Il popolo cristiano si rivolge con fede alla Vergine Maria, la venera e l’onora di tanti titoli che esaltano le prerogative a lei donate da Dio, proclamano le sue virtù ed attestano il suo ruolo nella mediazione materna per il conseguimento di ogni grazia. Maria che insieme con Gesù suo Figlio siede alla destra del Padre, Regina degli Angeli e dei Santi, non fa mancare gesti concreti che attestano la sua presenza ed il suo amore per i suoi figli. La sua parola più efficace e perenne è riportata nei vangeli: «Fate tutto quello che Egli vi dirà!». I suoi interventi nella vita dei cristiani e della Chiesa nel corso della storia e del tempo, sono comprovati da avvenimenti particolari nei quali le sue parole, i suoi atteggiamenti, i suoi interventi, le sue richieste, le sue indicazioni, esprimono l’attenzione, la premura di una mamma che vuole portare tutti a Gesù. Il popolo la esalta e la venera con particolare devozione, attraverso i molteplici titoli con i quali l’ha onorata nel corso dei secoli e con pratiche specifiche di lode e di supplica. «Regina del Rosario» è uno dei titoli con i quali maggiormente il popolo di Dio l’invoca. È una devozione antichissima che si esprime con la recita di una preghiera ripetitiva costituita dal saluto evangelico dell’Angelo Gabriele “Ave o Maria” e da parole che esprimono la sua maternità divina e la sua intercessione. Il Rosario nella sua etimologia, richiama una ghirlanda di rose che è offerta a Maria e posizionata sul suo capo nell’atto della preghiera di affidamento e di richiesta di grazie. Nella pratica comune la ghirlanda è stata sostituita da 150 grani, che indicano e segnano la recita di 150 Ave Maria, intervallate dal Padre Nostro, con la meditazione dei principali misteri della vita di Gesù e della Madonna. Anticamente questa pratica era chiamata “Salterio mariano” con chiaro riferimento ai 150 salmi con i quali gli ordini religiosi e i ministri ordinati della Chiesa pregavano il Salterio Davidico, ed era riservata al popolo di Dio e particolarmente ai poveri, sia materialmente che di cultura, tanto è vero che era definita anche “Bibbia dei poveri”. L’uso del Rosario nella storia della Chiesa e della sua efficacia come preghiera di meditazione e di supplica, è testimoniato anche da avvenimenti particolari e grazie sorprendenti che ne sono scaturite. S. Giovanni Paolo II nel 2002 ha voluto aggiungere ai classici 15 misteri (gaudiosi, dolorosi e gloriosi) altri cinque detti “della luce”. Il beato Bartolo Longo, un laico avvocato convertito alla fede cristiana, nel secolo XIX nella Valle di Pompei con un quadro che riproduce la Vergine Maria nell’atto di dare il Rosario ai santi Domenico di Guzman e Caterina da Siena, con la costruzione di una imponente basilica, ha diffuso nel mondo la particolare devozione alla Madonna sotto questo titolo. La testimonianza più bella è costituita dalla solenne Supplica da lui scritta che si proclama ogni anno l’8 maggio e la prima domenica di ottobre. A Maria, in questo particolare tempo di pandemia e di guerra perenne contro il nemico diabolico eleviamo oggi insieme con la supplica, la nostra fiduciosa preghiera di lode e di gratitudine, impegnandoci però ad emulare Maria nella pratica autentica di vita cristiana, nell’obbedienza alla legge di Dio ed alle indicazioni evangeliche. P. Angelo Sardone

La vera connessione

La misericordia di Dio è un mistero ineffabile. Solamente quando la si sperimenta si comprende la sua portata e l’efficacia di un amore gratuito ed interessato al vero nostro bene. La sua dinamicità è sorprendente, puntuale, attuale, paziente. La personale e matura esperienza di vita umana e cristiana, insegna che l’allontanamento dalla casa paterna ed il viaggio infausto nel peccato, alla ricerca illusoria di una agognata libertà da tutto e da tutti, sostenuta da una effimera ricchezza a portata di mano, sperperata peraltro nel godimento momentaneo e compensatorio di un vuoto profondo di sentimenti, di affetto, di vera realizzazione, generano inganno, delusione, solitudine e tristezza. Dopo aver dilapidato l’eredità e messo a repentaglio la vita, finendo in un pantano nauseante e melmoso a contatto con le realtà più perverse, sopravviene la crisi. Nella profondità della coscienza, Dio instilla la memoria del tempo antico, il tempo del benessere condiviso in libertà e sicurezza dentro la casa protetta e ricca di cibo abbondante non solo per i figli ma anche per i salariati. I pensieri diventano amaro termine di paragone con l’incresciosa situazione generata dalla mancanza finanche del pane, oltre che della felicità e della dignità. L’uscio della casa natia è rimasto aperto e sempre occupato dalla presenza eretta e fiduciosa del padre che attende. Il suo sguardo angosciato e triste per l’incauta sorte del figlio, è sempre proteso verso l’orizzonte: finalmente un giorno vede spuntare una sagoma in movimento. E’ il figlio che con passi stentati e scarpe rotte guadagna con il terreno del ritorno a casa, lasciando sul retro in orme che il vento cancella, il triste ricordo di una amara e tragica esperienza. Il Padre lo previene con amore grande e tenerezza infinita. Con un passo spedito gli corre incontro, lo abbraccia teneramente, gli asciuga le lagrime e con le sue lagrime gli lava il viso sporco di sudore e la coscienza madida di sangue. Soffoca in un abbraccio che toglie il respiro, il pianto convulso del figlio, lo prende per mano e lo introduce in un cammino nuovo, in una vita nuova, con un cuore nuovo, una nuova veste battesimale e con una più decisa volontà di bene e di cosciente responsabilità. Quante volte commettiamo simili gravi imprudenze nella vita umana e spirituale, credendo erroneamente di potercela fare con le nostre sole forze, con l’illusione di avere la grazia a portata di mano ampiamente meritata per quello che facciamo. Quante volte ci permettiamo disgraziatamente il lusso di abbandonare “cibo e bevanda di vita” che sono nutrimenti indispensabili per il cammino e difesa immunitaria efficace in una pandemia continua che contamina col virus del peccato. Ci si lascia andare pericolosamente in un cammino di disagio e frustrazione interiore, quando si mette da parte la preghiera, si reputa inutile la mortificazione, oppressiva ed inconcludente la rinunzia. Quando si allenta una attenta e circospetta prudenza nelle relazioni reali e virtuali con le persone, gli avvenimenti, le situazioni. Quando si stacca o si perde una stabile connessione con Dio, avviene che ci si connette più facilmente, più lungamente e pericolosamente, di giorno e di notte, con realtà virtuali e persone che si rivelano meschini riempitivi di esigenze del vero amore nell’attuale limitazione di relazioni sociali, costretti alla solitudine nel recinto delle mura domestiche. A volte certe connessioni possono procurare amare soprese, turbamento di coscienza e rivelare a menti ignare e a cuori innocenti, eccessi autoreferenziali di storie, immagini e racconti, egoistici interessi di interlocutori, che brevettano così il loro interesse e pensano in questa maniera di rimanere a galla in un mondo che affonda sempre più i sentimenti più nobili del cuore e le più autentiche manifestazioni di vera amicizia e di profondo amore. Attenzione: la connessione con Gesù è tutt’altra cosa! P. Angelo Sardone

Il Signore bussa alla porta del cuore

Una componente essenziale della vita dell’uomo, immessa da Dio nel corpo fatto di carne, è la forza derivante dallo spirito. Essa armonizza ed orienta il cuore e la mente, i pensieri e le operazioni, gli affetti ed i sentimenti. Come un auriga tiene in equilibrio e modera l’irascibilità e la concupiscenza. Qualcuno la chiama ragione, pensiero, pura energia; altri, responsabilità, equilibrio, dominio di sé. Noi la chiamiamo Grazia. La sua azione è costante per l’arco intero della vita, ma viene resa operativa dalla libera scelta ed accondiscendenza dell’uomo che avverte la sua presenza e la sua azione nella misura in cui diventa familiare dello Spirito. La grazia si innesta nella vita, proprio come lo spirito si articola e dà forma alla carne. La vita di grazia è libera risposta agli stimoli dello Spirito Santo che sta alla porta, bussa e dice: «Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). La porta è quella del cuore, della mente, della libertà umana, degli avvenimenti ordinari e straordinari. Attraverso questa porta Dio entra e feconda di bene, di novità e di verità la vita di ciascuno, dandole maggiore senso e qualità. La porta ordinaria è Gesù Cristo: è per mezzo suo e del dono dei sacramenti che la vita cristiana acquista valore e pienezza. Il ricorso sistematico alla preghiera, all’unione con Dio, all’ascolto della Parola, ai sacramenti, all’esercizio delle virtù, particolarmente della carità, sono i mezzi con i quali la grazia vive, opera e santifica. Nella grandezza del suo amore e della sua misericordia, Dio lascia liberi di scegliere. L’orgoglio e la prepotenza umana, pervasi a volte di latente stupidità e labile efficienza, sopraffatti dal momentaneo appagamento di un piacere effimero e carnale, da accattivanti lusinghe di paradisi allucinanti che riempiono e svuotano contemporaneamente, devono arrendersi dinanzi a situazioni imponderabili ed a muri impenetrabili. Una retta ed illuminata coscienza apre a Dio: la verità che è Dio stesso, rende realmente liberi. Una dipendenza peccaminosa, assuefatta da cattive abitudini ed inopportune e pericolose contingenze relazionali e comportamentali, o peggio ancora, alimentata da un male subdolo e ingannevole, che si chiama peccato e che fa apparire “bene ciò che è male” e “male ciò che è bene”, impedisce un intelligente e fecondo abbandono alla grazia. Il suo rifiuto, equivale al rifiuto di se stessi. La resistenza alla grazia pregiudica allora la vita e rende il cristiano un vero e proprio ramo secco: la linfa non passa più, pur continuando ad avere l’illusione di rimanere attaccato al tronco e di godere di una certa stabilità. Gli occhi aperti non vogliono vedere e rendono ciechi. Le orecchie chiuse non vogliono sentire il suono alla porta e rendono sordi, sia quando i colpi sono secchi e picchiano con forza, sia quando sono battuti leggermente e con vellutata delicatezza. In questa maniera si sperimenta e si mette in atto una sorprendente capacità di resistere non a fattori o effetti contrarî, dannosi o negativi, ma, purtroppo, alla grazia. E’ proprio questa l’assurdità. Il cuore che pulsa interiormente di amore e di bene, accarezza il desiderio ed esprime il bisogno di grazia: ma deve impegnarsi ogni giorno a farle posto ed a resistere al male. Ciò richiede fatica ma alla fine premia: il percorso di grazia dura tutta la vita; la capacità di resistere allo sforzo e di dare regolarità e continuità alle proprie prestazioni, opponendosi saldamente al male, al peccato, permette di mantenere saldamente la propria posizione e di convivere con stabilità nella dinamica della grazia. Questa è autentica felicità. P. Angelo Sardone

Stare in piedi

E’ importante sostenere chi sta per cadere. Qualche volta è anche difficile. La posizione eretta è uno dei primi traguardi del bambino ed una soddisfazione per i genitori che gli hanno insegnato a camminare, sorreggendolo, tenendolo per mano e sorvegliandolo con premura ed attenzione quando si è slanciato da solo ed ha imparato a reggersi in piedi. Così egli manifesta la padronanza su se stesso, esprime la capacità di sapersi muovere autonomamente e la libertà di poterlo fare. Quando si cresce, stare in piedi ha il valore di avere gli occhi aperti, tenersi sotto controllo, guardare all’orizzonte, stare bene, insegnare. La posizione eretta dell’uomo è meno stabile di quella di un quadrupede: la sua razionalità coordina la stasi e dirige il movimento. Stare in piedi richiede attenzione, equilibrio, volontà, coordinamento tra le gambe, i piedi e la mente, soprattutto quando poi ci si deve muovere. Gli arti inferiori sono i mezzi per camminare ma è compito ed opera della volontà dirigere il movimento in avanti, dietro, in alto, in basso, per evitare gli ostacoli, per superarli. E’ proprio della mente vedere, comprendere e scegliere la via da percorrere, una via adatta ai propri passi ed al traguardo che si intende raggiungere. Molte volte il cammino della vita riserva una via tortuosa ed irta di difficoltà; altre volte è l’uomo stesso che in maniera improvvida sceglie di percorrere la via più difficile, più rischiosa, quasi una sfida con le sue capacità ed una prova di orgoglio con se stesso, con il desiderio e la volontà di fare da solo o di dimostrare di esserne capace. Molte volte la scelta va a buon fine, raggiunge la meta ed è vittoria; a volte è solo amara illusione; talora sonora sconfitta. Nel cammino se si cade ci si rialza proprio come fa il bambino, magari dopo essersi fatto anche male. La volontà e l’istinto naturale lo aiutano. Se poi c’è qualcuno davanti, di dietro o accanto che offre un sorriso, porge uno sguardo, si china a raccogliere, rialzarsi è più facile, riprendere il cammino con la presa stretta della mano, agevola il passo e lo rende sicuro. Quando ci si alza da solo o con l’aiuto di un altro, si riacquista fiducia e si capisce ancora di più la propria fragilità, la bellezza di stare in piedi, la necessità di qualcuno che ti aiuti a rialzarti, ti faccia comprendere la pericolosità del tragitto o della scelta e ti guidi a riprendere il passo più leggero e tranquillo. La grazia dei sacramenti tiene in piedi nella vita, sorregge, nutre e difende. Ma è anche attraverso la presenza fisica ed operativa di persone appositamente da Lui chiamate e dotate di speciali capacità che Dio manifesta la sua volontà che tutti stiano in piedi, che cioè siano salvi, raggiungano la felicità e la pienezza della verità. Al sacerdote, in forza di una speciale vocazione e della trasformazione ontologica operata attraverso il sacramento dell’ordine, Dio ha conferito un potere soprannaturale che non ha concesso neppure a S. Michele Arcangelo: rinnovare il sacrificio eucaristico, rimettere i peccati. Il compito del padre è aiutare il figlio a stare in piedi, nutrirlo, riprenderlo, guidarlo, dargli una eredità. Il compito del sacerdote è analogo: nutrire con il Pane della Parola ed il cibo dell’Eucaristia, esortare, correggere, manifestare la dolcezza paterna di Dio, generare continuamente alla vita di grazia e di fede chiunque il Signore gli mette dinanzi, a tutte le ore e di ogni età e condizione sociale. Diecimila pedagoghi in Cristo non reggono al paragone di un padre che genera in Cristo Gesù, mediante il vangelo (1Cor 4,15) ed ogni giorno dà la vita per chi ha generato, con una discreta e sacra presenza mediata da un costante pensiero ed accorata preghiera soprattutto sull’altare. Il suo misterioso e fecondo amore spesso rimane incompreso e nascosto agli occhi superficiali, ma è visibile agli occhi di Dio e noto al cuore ed alla sensibilità di chi a lui si è affidato come un figlio, come una figlia e che grazie a lui ha imparato a stare in piedi e a non cadere. E allora l’aiuto ed il sostegno diventa reciproco. Si diventa figli ma si scopre anche di essere fratello, sorella e madre. Una preziosità incomparabile. P. Angelo Sardone.

Fase e fasi di vita

Ogni fase della vita è regolata dalla Provvidenza di Dio ma è anche affidata al buonsenso ed alla responsabilità di ciascuno. Tutto è importante, tutto è necessario, ma vanno rispettati i ritmi naturali delle cose. Per ogni azione va esercitata la oculata prudenza e la doverosa obbedienza. La compressione della mente e del corpo dovuta alla stasi imposta e non scelta, tende all’esplosione ed alla ripresa dei propri spazi, delle proprie abitudini, delle proprie necessità. Per questo va amministrata con giudizio e attenta circospezione. Chissà per quanti, piccoli e grandi, questo tempo particolare è stato ed è una vera e propria implosione! Tenere a bada la mente, avere il necessario controllo sul proprio corpo e i suoi istinti, imporsi scelte di mortificazione e di rinunzia, possono sembrare cose impossibili o esagerazioni, frutto di una spiritualità sorpassata e zeppa di bigotteria! Il “tutto e subito” almeno nel campo sociale, non sempre si rivela un criterio sensato, soprattutto quando c’è di mezzo la vita, l’incolumità fisica e spirituale propria ed altrui. La natura che in questo tempo si sta risvegliando e si sta anche riappropriando dei propri spazi e dei suoi ritmi, sta mettendo sotto i nostri occhi le regole inflessibili impresse dal Creatore. Quanto abbiamo da apprendere dalle realtà che ci circondano! La libertà dell’uomo che spesso ha infranto ed ignora le norme, deve gestire le fasi della vita con un criterio di buonsenso e non secondo solo calcoli egoistici. Il male, il peccato, la malattia, soprattutto quando è impercepibile se non sotto un controllo meccanico o ormai esplosa in una patologia mortale fisica o morale, vanno tenuti a bada e va opposta la indispensabile resistenza. La Parola di Dio, significativa e chiara, è attuale e risolutoria: «Resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi» (Gc 4,7). La resistenza è manifestazione della forza della volontà che si oppone al male, è intelligente opposizione al peccato, è coscienza matura della scelta di un bene superiore. Questo tipo di resistenza sfianca finanche il demonio. Ma evidentemente non può reggersi da sola, ha bisogno del sostegno efficace della potenza di Dio, della grazia che se anche non è sacramentale, come in questi giorni, si riversa nella mente, nel cuore, nel corpo stesso, per mezzo della preghiera, della carità, del compimento del proprio dovere. E’ saggio criterio la sottomissione a Dio, l’avvicinamento e l’affidamento a Lui, la purificazione delle proprie mani contagiate dal virus ancora più terribile del peccato: mani che facilmente si infettano con le varie forme di ipsazione, di illusoria compensazione egoistica, manipolando la propria coscienza, ed infettando anche gli altri con il diabolico inganno che tutto è normale, che tutto è naturale. Un grande aiuto nella risoluzione del problema viene anche e soprattutto da un atteggiamento di umiltà che fa riconoscere i propri limiti, ammette le proprie colpe e trova in Dio il suo rifugio, la sua speranza, la sua esaltazione. Non esiste una sofferenza superiore alle nostre capacità ed una tentazione superiore alle forze umane: «Dio non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere» (1Cor 10, 13). Senza fretta per le cose umane, ma con piena e matura coscienza ed immediatezza nelle cose spirituali, affrontiamo la realtà della vita e non lasciamo a domani quello che possiamo fare già oggi, dando una vigorosa sferzata all’assopimento spirituale e morale un con pronto risveglio. P. Angelo Sardone

Il meglio della vita

Quando si ama davvero, ci si fida: quando l’amore è vero, è oblativo, completo ed appagante; quando la risposta è sincera, la gioia è viva e coinvolgente. La storia di ogni uomo e di ogni donna sulla terra si iscrive in un progetto di amore, di un duplice amore: quello che scende dall’alto e che chiama e quello che si innalza dal basso, si fa eco e risposta. E’ la storia e la realtà di ogni vocazione, di oggi, di ieri, di sempre. Nel suo grande ed inaccessibile mistero, Dio che è condivisione, non riserva per sé la pienezza del suo amore ma lo riversa sulle creature chiamandole all’esistenza, impastandole di bellezza e di doni straordinari, chiedendo una intelligente cooperazione per la propria e l’altrui salvezza. Gesù Cristo è la risposta più eloquente alla chiamata del Padre e, sommo ed eterno sacerdote, nello Spirito riserva per sé alcuni che, come lui, vivano il servizio all’amore nella completezza della loro vita, come oblazione ed offerta generosa e talora eroica della propria esistenza. L’eroismo ed il martirio non sono solo quelli eclatanti verificabili dal versamento del sangue, sottoposti alle luci dei riflettori e videocamere, illustrate nelle cronache dei giornali o documentate sulle pagine o dal numero elevato dei “like” di Facebook. C’è un martirio vissuto giornalmente, nascosto nel silenzio impenetrabile, in lagrime non asciugate, in offerta di amore non recepita, in disponibilità non apprezzata, in servizio orante compreso da Dio, in bisogno di affetto da donare e da ricevere a titolo assolutamente gratuito. Sono situazioni e sentimenti che non sempre si possono gridare ma che squarciano il cuore sensibile di chi ama. Si affermano a bassa voce e con pudore nel silenzio di una chiesa o di una cella, con la vicinanza che è presenza operativa anche a distanza, con la preghiera costante che è sacrificio a Dio, sostegno e interesse per i fratelli, con la condivisione dei dolori e delle gioie. Non sempre tutti capiscono o possono capire: occorre una comprensione intuitiva, una apertura di mente di cuore, uno stare accanto discreto e sacro, con meno interrogativi da porre, uno sguardo amorevole, un “ti voglio bene” più frequente e più vero. Le identità del sacerdote, della persona consacrata a Dio in un istituto religioso o nel mondo, di vergini votate alla clausura in un matrimonio mistico e fecondo di bene per il mondo, si iscrivono nel mistero soprannaturale ed umano della vocazione di speciale consacrazione nella quale sono coinvolte direttamente da Dio e coinvolgono l’umanità intera. Oggi, Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni, siamo chiamati a pregare proprio per queste persone, perché non manchino mai alla Chiesa i “buoni operai del regno”, continuatori dell’opera evangelizzatrice degli apostoli, uomini e donne votate al bene sommo ed assoluto per Dio per manifestarlo e riversarlo poi con altrettanta intensità nella messe delle anime ed il gregge della Chiesa. Pieghiamo «le ginocchia davanti al Padre dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome» (Ef 3,14-15) per chiedere con insistenza e con fiducia il dono delle vocazioni, indispensabili per la Chiesa e la società. Ciò, prima di essere una necessità, è un esplicito comando di Gesù: «Pregate il Signore della Messe perché mandi operai nella sua messe» (Mt 9,38). S. Annibale Maria Di Francia ha messo in evidenza questa parola dopo secoli di nascondimento, l’ha fatta sua e donata alla Chiesa. In essa operano Rogazionisti e Figlie del Divino Zelo, religiosi e laici che arsi di santo zelo diffondono il “divino comando” impegnandosi ad essere loro per primi, buoni operai. Ed io che sono un povero artigiano della parola, ho fatto di questa Parola la mia stessa vita. P. Angelo Sardone

IV domenica di Pasqua. Giornata Mondiale di Preghiera per le vocazioni

IVª di Pasqua, domenica del «Buon Pastore», Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Gesù crocifisso e risorto è “Cristo”, cioè l’unto di Dio e “Kyrios” cioè il Signore. Il primo discorso di Pietro dopo la Pentecoste è una catechesi sul Battesimo, conseguenza dell’accoglienza di questo annunzio. Esso immerge nel mistero della morte di Cristo e dona lo Spirito. La passione di Gesù, senza peccato ed inganno, mite e silenzioso, è, per il popolo errante come pecore ricondotte al loro pastore, esempio e scuola di vita per ottenere la guarigione e la giustizia. Con una similitudine peraltro non compresa dai suoi interlocutori, Gesù descrive il singolare rapporto che ha con le pecore: entra nel recinto per la porta aperta dal guardiano; le chiama ciascuna per nome, le conduce fuori dell’ovile, cammina davanti, ed esse ascoltano la sua voce familiare. Egli è anche e soprattutto “porta” che dà accesso alle pecore, perché è pastore, al contrario dei mercenari che non hanno avuto attenzione né ascolto dalle pecore perchè ladri e briganti. La sua porta è luogo e strumento per la salvezza e accesso sicuro al pascolo fertile e fruttifero ed alla vita donata in abbondanza. Il divino comando di Gesù: «Pregate il Signore della messe perché mandi operai per la sua messe» fu l’uscita “ampia ed immensa” che S. Annibale M. Di Francia, a causa della limitatezza delle sue forze e capacità, dinanzi a milioni di orfani e poveri che si perdono o che giacciono abbandonati come gregge senza pastore, trovò e legò alla vita sua, delle sue Congregazioni, della Chiesa intera. S. Paolo VI il 1964 colse questo intuito e rese esplicito un carisma rimasto quasi nascosto per 19 secoli tra le pagine evangeliche. Questa necessità, questo impegno e zelo, appartengono alla Chiesa intera. P. Angelo Sardone

Dio nel tumulto della nostra vita

Il Signore vive ed opera nei tumulti della storia, nelle paure e nei turbamenti del cuore dell’uomo, nelle sue gioie e nei suoi desideri. Egli è vivo e rende significativo ogni suo gesto, pieno ogni avvenimento, gioiosa ogni risposta di chi a Lui si affida. Il suo silenzio non è mai muto, anche quando sembra distante, estraneo o disinteressato alle nostre situazioni di vita, ai nostri problemi di salute e di lavoro, quando il mistero che avvolge la vita, si rivela sempre più fitto ed incognito e preoccupante diventa il futuro. In Gesù, sua Parola vivente, egli assicura: «Io sarò con voi sino alla consumazione dei secoli!» (Mt 28). Cristo è al timone della storia e della nostra vita: indica la rotta giusta e corregge la falsa direzione che avvenimenti, debolezze umane, l’imprevedibilità delle situazioni, l’assuefazione anche alle cose spirituali, possono indurre a prendere. I percorsi esistenziali si rivelano superficiali, e la coscienza fluttuante tra il desiderio del bene e la facile attrazione del male, la fatica della costanza nell’impegno e l’appagamento momentaneo e passeggero, autentico ingombrante rimorso. E’ Lui che «apre davanti a te una porta che nessuno può chiudere» (Apc 3,8). Occorre varcare la porta, remare con forza per seguire la direzione giusta e mettere in atto, insieme con la fatica di credere, il coraggio di osare, la gioia per ringraziare, la lode per proclamare la sua grandezza ed il suo amore. La storia di ogni vita umana è la sintesi di una chiamata e di una risposta: in essa si gioca il dinamismo di un “amore vero” che viene da Dio, grande, immenso e di un amore umano limitato e confuso dalla miseria e dal peccato, che balbetta le risposte mosse dal desiderio insaziabile della felicità. Essa, nonostante l’inquietudine del cuore dell’uomo, tende alla pienezza della gioia vera e della pace duratura. La vocazione dell’uomo è l’amore: si conosce e si realizza nelle pagine giornaliere della vita scritte talora anche col sangue e l’inchiostro delle contraddizioni, i suoi aneliti, i desideri reconditi, le paure, i turbamenti. La fatica di crescere è premiata dalla consapevolezza di “essere e di fare qualcosa per cui nessun altro è stato creato” (H. Newman). Tutto questo matura nel silenzio, nella riflessione, ma anche nell’affrontare e superare le difficoltà, soprattutto quando, con le spalle al muro o sprofondati nel buio più fitto dell’angoscia, della paura, della solitudine, si guarda attorno e si trova qualcuno che ci dà una mano; si alza lo sguardo verso l’alto e si scorge il Risorto che sorride e scende a prendersi addosso gran parte del peso di croce che portiamo. In qualunque scelta di vita e cammino di risposta alla chiamata di Dio, noi non siamo soli. Il discernimento ed il compimento della personale vocazione sono affidati alla responsabilità singola, ma godono ogni giorno della presenza e dell’opera di Gesù Cristo che sostiene con la forza del suo amore. Il matrimonio, il sacerdozio, la vita consacrata dentro o fuori del mondo, hanno la loro origine dal cuore di Dio: si conoscono e si realizzano nella misura in cui, soprattutto con la preghiera, l’intimità di rapporto con Dio, la vita sacramentale sistematica e la presenza e l’accompagnamento di una guida saggia ed illuminata, si mette a fuoco il dono ricevuto e si risponde con responsabilità. Oggi sembra più difficile percepire la vocazione come un dono, fa paura l’impegno nella totalità e stabilità del tempo. Ma se viene accolta la chiamata del Signore, essa trasforma l’esistenza e dà senso pieno alla vita. Basta guardare a Maria di Nazaret. P. Angelo Sardone