Giorno: 24 Maggio 2020
Le orme
Mattutino di speranza
Domenica 24 maggio 2020
La vita umana donata da Dio è una impronta indelebile del suo amore, della potenza e della infinita sua grandezza. Anche l’essere umano che non si è formato completamente nel grembo materno o c’è stato per pochissimo tempo o non ha visto mai la luce, o è stato soppresso dall’egoismo umano, è una singolare sua impronta. Ogni uomo ed ogni donna che vive e cammina sulla terra lascia la sua personale impronta. Non occorre che sia vistosa o appena percettibile, piccola o grande, recente o antica: è un’impronta, un segnale chiaro che qualcuno è passato ed ha calpestato il terreno. Sono belle, storiche, interessanti, le orme dei dinosauri e dei rettili sparse qua e là sulla terra, retaggio di un tempo arcaico, museo aperto in natura, eccezionale documento di civiltà pregressa. Hanno grande valore le orme dell’uomo impresse sulla roccia della memoria, nel ricordo della storia, e ancor più quelle che hanno inciso profondamente l’anima. Sono le impronte che vanno oltre il tempo e valgono e durano per l’eternità. La memoria umana può anche cancellarle, spazzarle via come fa il vento con quelle sulla sabbia; non saranno patrimonio dell’umanità, resteranno nascoste, dimenticate, ma sicuramente conservano il valore e la traccia nel tempo che non ha tempo, perché sono impresse nel cuore stesso di Dio. La mano che sfiora appena una superficie o la calca lascia un’impronta dalla quale è possibile risalire all’autore. Quando si usa una persona, si entra maldestramente nella sua vita, si parcheggia tra le sue emozioni, quando ci si appropria dei suoi pensieri, si imbratta il cuore e si sporca la dignità, quando si usa il suo corpo o ci si prende gioco dei suoi sentimenti, l’innocenza, il pudore, la semplicità, l’ingenuità, quando si agisce col conio dell’odio e del risentimento, quando si uccide col sospetto, con la falsa testimonianza, con parole arroganti, irriverenti e triviali, l’impronta non rimane più tale ma diventa ferita profonda che sanguina e non si rimargina. Una impronta positiva può cambiare la vita; un’orma significativa può allettare il cammino di chi la vede e vi pone dentro i suoi piedi: l’orma e il piede si incontrano, si baciano; l’orma sorride ed accoglie; il piede calca e si affida. Nella vita di fede e nel cammino di perfezione cristiana, portiamo anche noi nell’anima, l’impronta indelebile che Dio ha impresso all’inizio della vita cristiana col santo Battesimo. Essa si esalta ulteriormente con i sacramenti della Confermazione e dell’Ordine sacro. Il catechismo la chiama «sfraghìs», sigillo, un marchio che non va più via, che significa appartenenza, alleanza, grazia di stato. Anche un atto di apostasia, cioè ripudio pratico e giuridico della fede non potrà mai cancellare quello che Dio ha impresso sulla base della libera e volontaria disponibilità dell’uomo. Sul monte degli Ulivi, a Gerusalemme, dove dopo quaranta giorni dalla sua Risurrezione, prima del ritorno alla destra del Padre con l’Ascensione, Gesù incontrò l’ultima volta i suoi Apostoli per dare le ultime raccomandazioni e conferire loro il mandato missionario, la Tradizione conserva due orme di piedi calcate nella roccia, attribuite a Gesù, che segnano il punto esatto da cui è asceso. Sono ben visibili; sono tracce che indicano la via del cielo, depressioni plantari dove mettere i nostri piedi per prendere forza e vigore onde riprendere o cominciare un nuovo cammino. Così anche noi potremo lasciare orme buone non sulla sabbia, ma sulla terra bagnata di fatica e sudore, sul cuore di chiunque incontriamo nel nostro cammino. Ci muoviamo con i piedi per terra e lo sguardo rivolto al cielo, con il corpo che è materiale e l’animo che appartiene allo Spirito, nell’attesa del ritorno di Cristo alla fine dei tempi nella gloria. Allora davvero, come recita un anonimo adagio, non conteranno più i passi che facciamo, non avranno valore le calzature che adoperiamo, ma solo le impronte che lasciamo. P. Angelo Sardone