«Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo mediante il Vangelo» (1Cor 4,15). Lo sfogo di S. Paolo ai Corinti è una reazione quasi istintiva e la manifestazione della sua prerogativa apostolica che distingue la pedagogia dell’insegnamento dalla paternità, la formazione dell’individuo dalla generazione alla vita di fede. Egli ne aveva grande coscienza dal momento che per oltre un anno e mezzo con tutte le forze, la costanza nella predicazione e la testimonianza col lavoro, aveva sollecitato i nuovi adepti alla fede cristiana ad accogliere la sua identità ed il suo ruolo carismatico. La presenza di altri predicatori, certamente animati da buona volontà, ma senza la verve profetica di chi era stato innalzato al terzo cielo e cercava con tutte le forze di comunicare le cose viste ed udite a quel livello. La fede dei neofiti è sempre un po’ ballerina fino a quando non si stabilizza in una maturità che deve i suoi effetti prima di tutto a chi insegna e guida, ma che poi si radica nella vita di chi aderisce con profondità e verità. Lo sbotto emotivo e deciso è teso a rivendicare la generazione alla vita spirituale che, ad imitazione di ciò che avviene nella natura umana, è opera di una persona. Quelli che nel frattempo si interpongono, possono essere al massimo educatori, formatori, non padri. Se lo sono nella serietà, tanto di guadagnato. Se lo sono nella leggerezza e nella superficialità, è un vero danno, per tutti. «Semel pater, semper pater», una volta che sei diventato padre, rimani sempre padre. Questo vale anche per noi sacerdoti. P. Angelo Sardone